Tra i protagonisti spicca il cantautore siciliano Marco Castello, insieme ad artisti come Anna Castiglia e altri giovani musicisti che stanno riportando al centro l’identità mediterranea
Tutti gli articoli di Cultura
PHOTO
Ogni epoca, è impossibile negarlo, ha le sue caratteristiche, le sue contraddizioni, i suoi avvenimenti, ma anche le sue correnti artistiche, musicali e letterarie. E così, anche il tempo che viviamo, con tutte le sue luci e le sue ombre, porta con sé una propria cifra espressiva. Non tutte le epoche, però, generano vere e proprie rivoluzioni artistiche. Basta pensare al movimento beat, fiorito tra gli anni Sessanta e Settanta sullo scenario internazionale, o al fenomeno tutto italiano — anzi, tutto napoletano — del Neapolitan Power, che nello stesso periodo diede voce e cuore a una generazione di artisti. Erano gli anni di Pino Daniele, James Senese, Tullio De Piscopo e di tanti altri che seppero fondere la tradizione popolare partenopea con il jazz, il funk, il soul: la cosiddetta “musica nera”.
E non a caso, anzi in modo perfettamente simbolico, Pino Daniele intitolò il suo terzo album ‘’Nero a metà’’: un manifesto poetico e musicale insieme. Fatte queste doverose premesse, è inevitabile guardare all’oggi. Un oggi spesso dominato da produzioni musicali commerciali, talmente sature e uniformi da risultare monotone, tanto nei suoni quanto nei testi. Eppure, tra le pieghe di questo panorama omologato, si sta muovendo qualcosa. Una nuova corrente artistica sta nascendo, ancora timida nei numeri, ma già ricca di qualità, di visione, di sostanza.
Tra i protagonisti, spicca il nome del cantautore siracusano Marco Castello, portavoce di un Sud che torna a raccontarsi con verità e grazia. È una sorta di “mediterranean rebirth”, una rinascita mediterranea che riscopre sonorità autentiche, calde, analogiche. Musiche che profumano di sale e di terra, accompagnate da testi che tornano a dire qualcosa, a parlare, a ribellarsi.
È una musica suonata, non programmata; scritta, arrangiata e vissuta dagli stessi autori. Una musica che parla del nostro tempo, ma senza risultare anacronistica, e che sta conquistando un pubblico giovane, desideroso di riconoscersi in quei racconti di mare, d’amore, di incertezze e di rapporti umani. C’è anche il dialetto siciliano, usato non come barriera ma come ponte: linguaggio universale che trasforma un concetto complesso in poesia.
Basta ascoltare ‘’U mari’’ di Anna Castiglia o ‘’Beddu’’ di Marco Castello per sentire emergere immagini e sonorità intrise di Mediterraneo, capaci di riportarci sulle antiche sponde greche, tra i profumi del Sud e le ombre dorate del tramonto. E in alcuni brani, come ‘’Avó’’ di Castello, riaffiora persino il senso del sacro che appartiene al Meridione: una dolce litania funk, sospesa tra devozione e ritmo. Non è indie, non è una moda passeggera. È qualcosa di più profondo: un nuovo genere, vero e proprio, nato dal desiderio del Sud di parlare con la propria voce, di usare la propria lingua e farla diventare universale.

