Giuseppe Occhiato, ritenuto da molti uno dei più grandi scrittori calabresi del Novecento, nacque a Mileto il 10 novembre 1934 e morì a Firenze il 27 gennaio 2010. Rimasto orfano in tenera età, fu cresciuto dalla nonna materna, Maria Antonia Mesiano, illetterata, ma dotata di notevoli capacità affabulatorie. Dopo aver frequentato il liceo classico a Vibo Valentia, si laureò in Lettere moderne presso l’Università di Messina nel 1970, discutendo una tesi sul duomo normanno di Gerace. In seguito intraprese la carriera scolastica come docente di storia dell’arte, per poi, nel 1977, assumere l’incarico di preside. Ha vissuto e lavorato per un lungo periodo in Toscana, dapprima a Prato, dove si trasferì nel 1983 con la moglie Amelia Cirianni, poi a Firenze, dove poi si ritirò in pensione nel 1996.

Occhiato si distinse fin da subito per la sua attività di studioso dell’architettura medievale calabrese, con particolare attenzione alle cattedrali di epoca normanna. Tra i suoi contributi si segnalano La SS. Trinità di Mileto e l’architettura normanna medioevale (1977), L’antica cattedrale normanna di Reggio Calabria (1980), L’Abbazia normanna di Sant’Eufemia (1981) e L’Abbazia di Corazzo (1991). Tali opere si fondano su rigorose indagini archivistiche e rilievi sul campo e hanno contribuito a definire con maggior precisione la cronologia e le caratteristiche strutturali degli edifici studiati. Dall’attività saggistica di Occhiato, accolta in riviste italiane e internazionali come Byzantion, Archivio storico per la Calabria e la Lucania e il Bollettino della Badia Greca di Grottaferrata, emerge la sua competenza filologica e l’originalità delle ipotesi interpretative. Particolarmente rilevante la sua analisi sulla datazione della cattedrale di Gerace, pubblicata nei Quaderni dell’Istituto di Storia dell’Arte Medievale e Moderna dell’Università di Messina, diretti da Alessandro Marabottini.

Alla produzione scientifica affiancò l’interesse per la narrativa, con opere dedicate a importanti eventi storici riletti attraverso una lente mitopoietica e un linguaggio ricercato, spesso ibridato con il dialetto. Più che a romanzi, Occhiato ha dato vita a forme narrative difficilmente etichettabili che possono essere ascritte a un universo romanzesco contaminato da altre modalità narrative.

Il primo romanzo, Casarace. Il giorno che della carne cristiana si fece tonnina (1989), è incentrato sull'incursione aerea degli alleati sull'aeroporto di Vibo Valentia e sulle zone limitrofe che, il 16 luglio 1943, pochi giorni dopo lo sbarco degli Alleati in Sicilia, causò la morte di circa quaranta civili e che ebbe un impatto decisivo sull'immaginario del giovanissimo Giuseppe.Occhiato riesce a elaborare una lingua narrativa densa e innovativa, in grado di esprimere la tensione e il dolore collettivo. Il successivo rifacimento in forma più schiettamente romanzesca, intitolato Lo sdiregno (ovvero lo “sfollamento”), gli valse nel 2006 un rinnovato apprezzamento da parte della critica.

Nel campo della narrativa, Occhiato ha pubblicato anche Oga Magoga. Cuntu di rizieri, di ori e del minatòtaro (1998-2000), "romanzo universo" (nella definizione di Franco Moretti) di fenomenale estensione e pubblicato nel 2000. L'opera, che consta di quasi 1400 pagine, è stata accostata a un altro monstrum letterario del Novecento, l'Horcynus Orca di Stefano D'Arrigo. Si pensi che Oga Magoga, frutto di mezzo secolo di lavoro, ebbe quattro redazioni in versi (tra il 1954 e il 1981) e altrettante in prosa (dal 1991 al 2000). Il titolo rimanda a Gog e Magog dell’Antico Testamento e al Minotauro, incarnazione del Male assoluto, il tema fondamentale dell’opera: il ritorno ai fatti del ‘43. La scrittura del romanzo non si avvale di un vero lessico dialettale, ma di un linguaggio in cui traspare in controluce la struttura della sintassi, del discorso, della parlata calabrese, nella profonda convinzione da parte del narratore della possibilità di vivificare e arricchire l’italiano attraverso il dialetto.

La formula dell’inchiesta antropologica, inaugurata con Carasace, ritorna nel 2007 nell’ultimo romanzo, intitolato L'ultima erranza: è la storia, ambientata a Mileto nel 1983, delle appassionate ricerche di Filippo Donnanna intorno alla figura di Rizieri Mercatante. Il giovane morì sotto le bombe durante la Seconda Guerra Mondiale, nel 1943, e venne sepolto senza riti funebri tradizionali. Il funerale fu celebrato soltanto nel 1963 quando il padre, don Natalino Mercatante, che durante gli anni del fascismo aveva lasciato la famiglia per cercare fortuna in Argentina, volle delle esequie sfarzose che consentissero al figlio, dopo la lunghissima erranza, di oltrepassare il ponte di Santo Iacopo e pervenire nella dimensione autentica della morte.

Tutte queste opere evidenziano un costante dialogo tra memoria collettiva e sperimentazione linguistica. A proposito di Casarace, per esempio, Antonio Piromalli ha osservato come esso rappresenti un esempio originale di esperimento linguistico e di recupero della pietas popolare attraverso una sintassi che reinterpreta i moduli del parlato calabrese. Tuttavia, sul lavoro di Occhiato hanno scritto anche Lia Fava Guzzetta, Emilio Giordano, Caterina Verbaro, Marino Biondi, Neil Novello, Salvatore Carmelo Trovato, Alfio Lanaia, Francesco Mercatante, Nino Borsellino. Da segnalare l'uscita, nell'aprile del 2019, di un numero monografico della «Rivista di Studi Italiani», a cura di Neil Novello ed Emilio Giordano, dedicato all'opera di Occhiato nel suo complesso e interamente disponibile on line. La raccolta di saggi include studi editi, ripensati per l'occasione, e inediti.

È inedito anche l'ultimo romanzo di Occhiato, imperniato sull'Opera dei Pupi e intitolato Opra meravigliosa. Come inedita è una raccolta di proverbi risalente al 2007 e denominata 'A Crisara'. Piccola cernita di proverbi calabresi. Dopo la sua scomparsa, nel 2010, sono state pubblicate anche alcune monografie che ne analizzano il lavoro: I mostri, la guerra, gli eroi. La narrativa di Giuseppe Occhiato di Emilio Giordano (2010), La grande magìa. Mondo e oltremondo nella narrativa di Giuseppe Occhiato (2015), raccolta di interventi saggistici curata da Giordano e da Gennaro Oriolot, e Mitopoesia dell’eone: cunti, stellari, dicerie. L’opera di Giuseppe Occhiato del già citato Novello (2019).

Occhiato rappresenta una figura significativa nel panorama culturale calabrese del secondo Novecento, capace di coniugare rigore scientifico e forza immaginativa in una produzione che ha attraversato i territori della storiografia, dell’arte e della narrativa. I suoi quattro romanzi, pubblicati in un arco di tempo che va dal 1989 al 2007, ruotano tutti attorno a vicende accadute nell’estate del 1943 all’interno di una piccola comunità contadina della Calabria più remota. La valenza autobiografica e autoanalitica di questa scelta tematica consiste, come ammetterà lo stesso autore nel 2006, nel dare corpo a ciò che in ciascuno di noi rimarrà sempre difficile da cancellare, avendo assorbito profondamente l'imprinting del microcosmo della nostra infanzia. Ciò farà sì che sempre si ritorni, pieni di nostalgia, “alla nicchia che ci ha plasmati costruendoci intorno la pienezza della vita, tra mondi umani e livelli ultraterreni, presenze divine e apparenze metamorfiche, e incanti, sogni e misteri: le voci, i respiri, gli echi, il brusio, le attese e i ritorni, i suoni e le cadenze, vorrei dire anche il silenzio”