La musica, come tutte le arti dopotutto, ha tante sfaccettature, tante regole e ovviamente tanti generi, più o meno leggeri o pesanti. Tra questi, un genere molto particolare, controverso e spesso di grande qualità tecnica è quello demenziale, che — attenzione — non è sinonimo di stupido, tutt’altro. È infatti un genere che utilizza la satira, la parodia e il grottesco per capovolgere consuetudini reali o per creare immagini surreali che portino l’ascoltatore all’ilarità e non solo, spesso attraverso l’uso di parolacce — aspetto molto studiato nella linguistica e definito come forma di linguaggio emotivo e sociale — e di concetti intenzionalmente diretti, che non ricorrono dunque a figure retoriche.

In Italia, dagli anni ’70, si è progressivamente affermato un processo di evoluzione di questo genere che ha visto come pionieri assoluti gli Squallor, un gruppo di autori e produttori discografici legati alle più importanti case dell’epoca, quali la CGD o la stessa RCA. Attraverso i loro dischi parodizzavano il mondo della musica e gli artisti che ne facevano parte, molti dei quali loro stessi producevano. Di questa caratteristica fecero un vero e proprio marchio di fabbrica, ottenendo un’ottima risposta in termini di vendite da parte del pubblico, per gran parte giovanile.

Il progetto ebbe come ideatori Totó Savio, Alfredo Cerruti, Daniele Pace e Giancarlo Bigazzi, in sostanza i big delle principali etichette discografiche dell’epoca, che fino agli anni ’90 incisero 15 dischi, tra cui “Arraphao” o “Palle”, e canzoni come “Cornutone”, “Berta” o “Albachiava”.

Negli anni ’90 si afferma poi un altro gruppo che ha dato un contributo notevole al genere: Elio e le Storie Tese. A differenza degli Squallor, conferirono alle proprie canzoni un vestito musicale ricco di cambi di tempo e tonalità, arrangiamenti prog e virtuosismi. Nei testi mantennero le caratteristiche sopra ricordate, ma spesso con una connotazione di denuncia verso alcuni aspetti del presente, trasformando la loro irriverenza anche in una forma di “impegno”. Basti pensare a “Sabbiature”, che valse loro la censura in diretta Rai al concerto del Primo Maggio 1991, o a “La terra dei cachi”, diventata celebre grazie alla partecipazione al Festival di Sanremo. Ma Elio e le Storie Tese sono molto di più: non si può parlare di loro senza citare brani — anzi, capolavori — come “Servi della gleba”, “T.V.U.M.D.B.”, “Il vitello dai piedi di balsa” o “Essere donna oggi”, in cui l’accuratezza degli arrangiamenti e la grande musicalità del gruppo si fondono con testi che, nel loro essere “scorretti”, diventano pura poesia.

Per molti anni, oltre a loro, sembrava non esserci nessun altro ad affacciarsi a questo genere. Fino a oggi. In questi ultimi tempi sta infatti emergendo sempre più un personaggio che è ma non è, che esiste ma non si sa chi sia: Tony Pitony. Un cantante con una voce stupenda, una maschera di Elvis perennemente sul volto e una genialità spiazzante sia nei testi che nella musica. Tony Pitony è il personaggio di cui questa generazione aveva bisogno. I suoi brani, come “Culo”, “Striscia”, “Sessonline” o “Stimoli”, presentano testi irriverenti uniti a sonorità e arrangiamenti molto curati e semplicemente divini. Il risultato? Tutto sold out ai live.

Un fenomeno, Tony Pitony, che saprà stupirci in futuro più di quanto non abbia già fatto e che sta dando nuova linfa a un genere che non è insulto ma cultura.