Il regista dà voce alle pagine dimenticate della storia e trasforma il dolore in racconto. «La verità non divide, unisce»: nel suo teatro la memoria diventa emozione civile
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Sul truck del Network LaC, affacciato sul lungomare di Reggio Calabria, c’è uno strano silenzio. Solo la voce di Michele Carilli lo attraversa, lenta e piena, come chi ha visto le cose da vicino. Ospite del nostro format “A tu per tu”, davanti alle telecamere il regista e autore teatrale ci racconta la scommessa di voler trasformare la storia in teatro civile, dando volto e voce ai vinti, a chi non ha mai avuto diritto di parola. E di come ci sia riuscito.
“1861 – La brutale verità” nasce dieci anni fa e ancora oggi brucia. È teatro-canzone, ma anche confessione collettiva. Parla dell’unificazione, del brigantaggio, di quella parte di Sud che fu cancellata e poi ridipinta dai vincitori. «C’è chi lo definisce spettacolo storico – racconta Carilli – ma per noi è un modo per guardare in faccia la verità. Alcune canzoni popolari le abbiamo spogliate della retorica e fatte tornare alla loro essenza. Dentro “Vitti na Crozza”, per esempio, non c’è allegria: c’è un teschio, c’è la morte, c’è dolore».
Al suo fianco c’era Mimmo Martino, fondatore dei Mattanza e compagno d’arte e di visione. «Con lui nacque la compagnia CARMA. Dopo la sua scomparsa, abbiamo continuato con la stessa anima, la sua. Ogni replica è una veglia. Ogni applauso è un segno che non tutto è stato dimenticato».
“1861” ha superato le cento repliche. Da Napoli alla Toscana, fino a Montecarlo di Lucca, dove lo spettacolo è stato premiato e dove, ricorda Carilli, «una donna toscana mi ha detto: prima mi vergognavo di avere parenti meridionali, ora ne vado fiera». Parole che valgono più di ogni medaglia.
La sua voce si fa più intensa quando parla di verità: «Non vogliamo riscrivere la storia, vogliamo restituirle le sue ombre. La verità non divide, unisce. Quando la conosci, puoi finalmente far pace col passato».
Poi arriva “Decimo. Come foglie d’acanto”, il secondo atto di questa stessa ricerca. È la storia dei soldati della Brigata Catanzaro, decimati nel 1917 per essersi ribellati dopo mesi di trincea. «Tra loro c’erano anche ragazzi reggini. Avevano sedici, diciassette anni. Li hanno fucilati e cancellati perfino dagli elenchi dei caduti. Solo quindici anni fa abbiamo ritrovato i loro nomi».
Lo spettacolo ha vinto il premio “Bronzi di Riace 2023” e rappresentato la Calabria in Puglia, conquistando il premio del gradimento del pubblico. «È il riconoscimento più vero, perché viene da chi ha vissuto quelle emozioni insieme a noi. A teatro non si guarda: si sente, si soffre, si respira».
“Decimo” è un pugno e una carezza insieme. «Parla di guerra, ma anche di perdono. Non immaginavo che questo tema tornasse così attuale. Ogni volta che si alzano i cannoni, penso a quei ragazzi del ’99, a ciò che la guerra ruba per sempre».
La scena, per Carilli, non è mai solo arte. È un modo per restare umani, per far vibrare la pelle degli spettatori, per farli uscire “provati ma più vivi”. «Il teatro non si spiega – dice con un sorriso stanco – si sente addosso, come una preghiera che non smette mai di suonare».
Sul lungomare, il sole cala dietro lo Stretto. L’intervista finisce, ma resta quell’eco lieve di verità e appartenenza. Carilli saluta, guarda verso il mare e aggiunge piano: «Ogni volta che saliamo sul palco, Mimmo è ancora lì. Lo sentiamo nel silenzio, tra una nota e l’altra. E allora capiamo che il teatro serve ancora. A ricordare. E a ricominciare».