Cgil, Cisl e Uil avvertono su possibili ricadute occupazionali: la revisione dei Prezzi minimi garantiti potrebbe mettere a rischio centinaia di posti di lavoro e l’intera filiera calabrese legata alle cinque centrali
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Scatta l’allarme sul decreto bollette e sulle possibili ricadute occupazionali per le centrali a biomasse calabresi, un comparto che garantisce lavoro a circa duemila addetti tra occupazione diretta, indiretta e indotto. A sollevare la questione sono Filctem Cgil, Flaei Cisl e Uiltec Uil, che chiedono l’intervento delle istituzioni nazionali e regionali di fronte al rischio di una revisione dei Prezzi minimi garantiti (Pmg), introdotti dal DL 57/2023 e confermati dalla legge 95/2023.
Secondo i sindacati, l’ipotesi di modifica degli incentivi avrebbe effetti rilevanti su un settore ritenuto strategico per la transizione energetica e per la sicurezza del sistema elettrico. Un intervento che «inciderebbe pesantemente – affermano in una nota Antonio Mangano, Antonino Mallone e Vincenzo Celi – su un settore strategico per la transizione energetica, la sicurezza del sistema, elettrico e la gestione sostenibile del territorio, in particolare in regioni come la Calabria, dove le cinque centrali a biomassa attive producono complessivamente circa 140 MW di potenza, garantendo occupazione diretta, indiretta e nell'indotto a oltre 2.000 lavoratori».
Le cinque centrali calabresi, tre nel Crotonese e due nel Cosentino, rappresentano una quota rilevante della produzione nazionale da biomasse. Un contributo che è «significativo e strutturale, non solo in termini di energia verde e programmabile, ma anche di tutela ambientale – osservano i sindacati di categoria – la valorizzazione del patrimonio forestale riduce il rischio incendi e il dissesto idrogeologico, sostenendo allo stesso tempo le economie rurali e una filiera territoriale indispensabile per la cura e la manutenzione dei boschi».
Le biomasse legnose sono inoltre indicate come un «esempio concreto di economia circolare, capace di trasformare residui agricoli e forestali in energia, lavoro e sviluppo locale. Sono una fonte rinnovabile programmabile – è detto ancora nella nota – e quindi in grado di fornire continuità energetica, anche durante la fase di transizione verso un sistema completamente decarbonizzato».
Per Cgil, Cisl e Uil, sostenere il comparto significa difendere non solo la produzione energetica, ma anche un presidio industriale e sociale. «Sostenere questo comparto – osservano ancora – non significa solo garantire stabilità produttiva, ma anche difendere un presidio industriale e sociale per la Calabria e per il Paese». I sindacati contestano inoltre l’efficacia di interventi limitati sugli oneri di sistema: «È importante chiarire che non saranno misure "spot" o riduzioni temporanee degli oneri di sistema, a generare benefici reali sulle bollette dei cittadini: il vantaggio, infatti, sarebbe minimo e quasi impercettibile per l'utenza finale».
La riduzione strutturale dei costi energetici, sostengono Mangano, Mallone e Celi, passa piuttosto «attraverso investimenti mirati nello sviluppo di una filiera energetica sostenibile, nell'innovazione tecnologica e nella valorizzazione delle risorse locali». Da qui la richiesta alla Regione Calabria e al Governo di avviare «un confronto serio e urgente, volto a preservare e potenziare il comparto delle bioenergie, risorsa chiave per l'ambiente, per l'autonomia energetica e per l'occupazione di migliaia di lavoratori calabresi e italiani».
Le organizzazioni sindacali si dicono infine disponibili a «un incontro di approfondimento per discutere nel merito delle misure in discussione e per costruire insieme una politica energetica realmente sostenibile e socialmente equa». La revisione degli incentivi, oggi all’esame di Governo e Parlamento, rischierebbe infatti di mettere in discussione fino a duemila posti di lavoro in Calabria, con effetti a catena anche sull’indotto agricolo del Crotonese e dell’area silana tra le province di Catanzaro e Crotone.

