Solo il 27,2% dei giovani emigrati dalla Calabria è laureato, con un divario di genere significativo: 31,8% di donne contro 23,4% di uomini
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La Calabria si conferma fanalino di coda nell’attrattività dei giovani e nell’equilibrio dei flussi migratori con i Paesi avanzati. È un quadro impietoso quello che emerge dal primo Rapporto CNEL 2025 “L’attrattività dell’Italia per i giovani dei Paesi avanzati”, presentato a Villa Lubin: un’analisi minuziosa che scende fino al livello regionale e che, per il territorio che va dal Pollino allo Stretto, parla il linguaggio crudo dei numeri.
Calabria: ISFM a 29,9, il peggiore d’Italia
Il nuovo Indice Sintetico dei Flussi Migratori (ISFM), che misura l’attrattività di un territorio rispetto ai giovani dei Paesi avanzati, è il termometro più eloquente della situazione. Più l’indice è alto, peggiore è la capacità di trattenere talenti o attrarne dall’estero.
La Calabria fa segnare 29,9, il valore più alto tra tutte le regioni italiane. Peggio della Sicilia (28,2), peggio della Campania (23,6). Un dato che traduce una realtà semplice: per ogni giovane straniero che arriva, quasi trenta giovani calabresi se ne vanno verso Paesi più sviluppati. Una sproporzione che sancisce un’attrattività quasi nulla.
Fuga di cervelli: solo il 27,2% dei giovani emigrati è laureato, ma il gender gap esplode
Nel triennio 2022-2024, i giovani laureati che hanno lasciato la Calabria sono stati il 27,2% del totale degli emigrati: uno dei dati più bassi d’Italia, superiore soltanto alla Sicilia. Ma è il divario di genere a colpire: 31,8% di donne laureate tra quelle che emigrano, contro 23,4% di uomini. Un divario di 8,4 punti percentuali, tra i più marcati del Paese. Significa che sono soprattutto le giovani donne istruite a scappare, probabilmente più consapevoli del peso che in Calabria hanno ancora disuguaglianze, scarsi riconoscimenti professionali e lentezze sociali.
Valore del capitale umano perso: una ferita da 24 miliardi
Secondo il Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro, il capitale umano giovane che la Calabria ha “regalato” alle altre regioni italiane vale 24 miliardi di euro. Solo come trasferimento verso il Centro-Nord. Se si considera anche l’esodo verso l’estero, il bilancio diventa ancora più pesante, con un impatto che il Rapporto definisce «strutturale, non episodico».
Un’emorragia territoriale che parte dal Sud e svuota il futuro
Nel quadro più ampio dei movimenti interni, il Mezzogiorno perde complessivamente 484mila giovani verso il Centro-Nord tra il 2011 e il 2024. La Calabria da sola vede uscire decine di migliaia di under 35, senza alcuna compensazione significativa in entrata. È un flusso che segue un pattern costante: si parte per lavoro, per la qualità dei servizi, per la meritocrazia percepita altrove, e, non da ultimo, per un diverso clima sociale e civile.
Capitale umano perso: colpisce più del PIL
Nel rapporto tra capitale umano perso e PIL regionale, la Calabria segna un valore altissimo: 16,6%, secondo solo all’Alto Adige. Una percentuale che va interpretata per ciò che è: non solo fuga di persone, ma perdita di ricchezza potenziale, di produttività futura, di competenze costruite in anni di investimenti pubblici e privati.
Perché i giovani scappano? La voce diretta dagli under 35
I tre sondaggi citati dal CNEL parlano chiaro: la Calabria, come il resto d’Italia, non offre ai giovani le condizioni per sentirsi considerati, messi nelle condizioni di costruire un percorso. Ma nel Sud questo sentimento è amplificato. Le parole chiave? Meritocrazia percepita come scarsa, migliori condizioni di lavoro altrove, riconoscimento professionale, qualità delle istituzioni, diritti civili e servizi più efficienti. E quando chi parte è interrogato sulle ragioni del ritorno, la risposta ricorrente non riguarda l’economia ma l’affettività: si rientra per famiglia, non per opportunità.
Un futuro da riscrivere
Se c’è un punto che il Rapporto CNEL sottolinea con forza è questo: l’Italia – e il Sud in particolare – non partecipa alla circolarità dei talenti. Ne esporta, ma non ne importa. La Calabria, dentro questo quadro, è il simbolo delle difficoltà più acute: quelle di una regione che continua a formare giovani che poi maturano altrove il proprio valore. Il rischio non è solo demografico o economico: è culturale, identitario, strutturale. Perché una terra che perde i suoi giovani perde, a poco a poco, la sua idea di futuro. E il Rapporto CNEL lo dice chiaramente: senza un salto qualitativo nelle politiche – istruzione, lavoro, welfare, diritti – la rotta non cambierà.

