Italia al netto. Dentro la giungla del fisco, tra tasse, evasione e condoni”. È il titolo del nostro dossier concepito come un viaggio nei numeri e nelle contraddizioni del sistema fiscale italiano. Cercheremo, in cinque puntate, di capire perché paghiamo tanto, chi evade, cosa succede negli altri Paesi d’Europa, e come uscirne. Un’inchiesta per capire cosa non funziona e cosa può cambiare. Questa è la terza parte del dossier. Qui la prima, la seconda e la terza parte.

L’evasione fiscale non è solo un problema contabile. È una ferita economica, sociale e morale che si allarga ogni anno, contribuendo a rendere l’Italia un Paese meno giusto, meno competitivo e meno credibile. La sua presenza sistemica genera ingiustizie diffuse, frena la crescita, distorce la concorrenza e indebolisce la fiducia nei confronti delle istituzioni.

Un danno da oltre 100 miliardi ogni anno

Secondo gli ultimi dati del Ministero dell’Economia (Relazione sull’economia non osservata, 2024), l’evasione fiscale e contributiva in Italia vale circa 108 miliardi di euro all’anno. Un dato impressionante, che corrisponde:

  • a oltre il doppio della spesa annuale per la sanità pubblica regionale (circa 44 miliardi);
  • a circa sei volte il bilancio annuale dell’università pubblica;
  • a quasi il 5% del PIL nazionale.

Se lo Stato potesse recuperare anche solo il 50% di questa cifra, si potrebbero:

  • abbassare le aliquote IRPEF di almeno 5 punti;
  • aumentare gli investimenti pubblici in infrastrutture, sanità, scuola e ricerca;
  • ridurre drasticamente il debito pubblico.

Chi evade e chi paga

I dati mostrano che l’evasione non è uniforme. I settori più colpiti sono:

  • commercio al dettaglio, ristorazione, edilizia e servizi alla persona;
  • professionisti con pagamenti in contanti;
  • lavoro nero o grigio, soprattutto nel Sud Italia.

Chi invece non può evadere, perché soggetto a ritenuta alla fonte (dipendenti pubblici, pensionati, lavoratori dipendenti in grandi aziende), finisce per sostenere una quota sproporzionata del carico fiscale. Questa distorsione ha due effetti drammatici:

Aumenta la disuguaglianza sociale: i redditi dichiarati non riflettono i reali standard di vita. Un lavoratore dipendente con 30.000 euro annui paga più tasse di un autonomo con lo stesso reddito ufficiale ma 15.000 euro in nero.

Alimenta il cinismo fiscale: chi è onesto si sente penalizzato, chi evade si sente furbo. La fiducia reciproca, base di ogni contratto sociale, si dissolve.

Le distorsioni sulla concorrenza

L’evasione altera profondamente il mercato:

  • Le imprese che evadono possono praticare prezzi più bassi o pagare meno contributi ai dipendenti.
  • Quelle regolari sono svantaggiate, perdono competitività, spesso chiudono.
  • La concorrenza sleale si trasforma in desertificazione imprenditoriale: chi fa impresa pulita rinuncia.

Nel settore edile, ad esempio, una ditta che paga tutto regolarmente ha un costo del lavoro più alto del 30-35% rispetto a una che assume in nero o sottopaga. Un abisso che spesso decide l’aggiudicazione di un appalto privato.

Conseguenze macroeconomiche: crescita soffocata e debito cronico

L’evasione, oltre a creare squilibri interni, frena lo sviluppo complessivo del Paese:

  • Meno entrate per lo Stato = meno risorse per servizi, investimenti, digitalizzazione, formazione.
  • Più debito pubblico per compensare la carenza strutturale di gettito: oggi oltre 2.900 miliardi di euro, pari al 139% del PIL.
  • Maggiore dipendenza da misure straordinarie (superbonus, incentivi mirati, bonus a pioggia), spesso inefficaci o clientelari.

Secondo il Fondo Monetario Internazionale, se l’Italia portasse l’evasione fiscale ai livelli medi dell’area euro (intorno al 5% del PIL), potrebbe generare 1,2 punti percentuali di crescita aggiuntiva all’anno. Un impatto paragonabile a una riforma strutturale.

La posta in gioco: democrazia e giustizia sociale

Infine, c’è l’effetto più profondo: l’erosione del patto democratico. Un sistema dove chi ha più risorse riesce a sottrarsi all’obbligo di contribuire, mentre i più deboli non possono farlo, non è un sistema libero. È un sistema regressivo, oligarchico, cinico.

Non è un caso che nei Paesi con maggiore equità fiscale, come i nordici, ci sia maggiore partecipazione elettorale, maggiore fiducia nelle istituzioni, minore corruzione, minore polarizzazione politica.

Conclusione: l’evasione non è solo un reato, è un furto collettivo

In Italia serve un salto di consapevolezza: evadere le tasse non è un gesto di sopravvivenza, è un atto antisociale. Colpisce la scuola dei nostri figli, la sanità dei nostri genitori, la sicurezza nelle nostre strade, la concorrenza nel nostro lavoro.

Non basta inasprire le pene, occorre ridare dignità all’impegno fiscale come fondamento del vivere comune. Chi paga le tasse non è uno sprovveduto, è un cittadino che crede nella Repubblica.

Dossier della Redazione Economia di LaC – LaCapitaleNews (con Michele Gagliardi, dottore commercialista)