La nuova definizione agevolata nasce in un contesto di bilancio stretto, con l’obiettivo di ridurre il deficit al 3%. L’esecutivo si divide tra chi chiede più tolleranza e chi invoca disciplina
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Non sarà un condono, ma neppure un perdono. La “rottamazione quinquies”, la quinta edizione della definizione agevolata delle cartelle, nasce in un clima di austerità, dove la parola d’ordine è compatibilità con i conti pubblici. Il governo intende chiudere il dossier mercoledì 8 ottobre, durante la riunione di maggioranza a Palazzo Chigi. Sul tavolo, due linee contrapposte: una più morbida, favorevole a tempi lunghi e adesione ampia; l’altra più severa, orientata a evitare nuove sanatorie mascherate.
Nel disegno iniziale firmato dal presidente della Commissione Finanze, Alberto Gusmeroli, la misura prevedeva 120 rate in dieci anni, con pagamenti distribuiti in un orizzonte ampio per favorire la regolarizzazione anche dei debiti più pesanti. Ma l’equilibrio dei conti ha imposto un ridimensionamento: la nuova versione scende a 96 rate in otto anni, con rate mensili e importi minimi di almeno 50 euro. Le risorse stanziate — circa un miliardo di euro — non consentono dilazioni maggiori, pena il rischio di nuovi buchi di bilancio.
La flessibilità resta tuttavia un principio guida. Alcune bozze tecniche prevedono ancora una distinzione per fasce d’importo: chi deve importi elevati potrà beneficiare di un piano più esteso, mentre per i debiti di entità minore la durata sarà più breve. Una forma di proporzionalità che potrebbe rendere la misura più equa e meno vulnerabile agli abusi.
Un’altra novità riguarda la struttura dei pagamenti. Scompaiono le maxi-rate iniziali, che nelle edizioni precedenti concentravano il 20% del dovuto nelle prime due scadenze. La quinquies introduce rate uguali per tutto il periodo, una scelta pensata per alleggerire l’impatto iniziale e favorire la continuità dei versamenti.
Resta aperta la questione dell’acconto. Parte della maggioranza spinge per un anticipo obbligatorio del 5% sui debiti superiori a 50 mila euro, per scoraggiare chi aderisce solo per guadagnare tempo. Altri, invece, chiedono di eliminare ogni “fee d’ingresso”, semplificando la procedura e rendendo più accessibile l’adesione. L’orientamento più recente sembra favorire la seconda opzione: niente anticipo, ma tempi certi per l’approvazione del piano. L’Agenzia delle Entrate-Riscossione dovrà comunicare l’esito entro dieci giorni dalla domanda, contro i due mesi medi delle passate edizioni.
Sul fronte della decadenza, il confronto si fa più acceso. Il ministero dell’Economia spinge per uniformare le regole alle rateazioni ordinarie previste dal DPR 602/73, con la perdita del beneficio dopo due rate non pagate, anche non consecutive. Una stretta che segnerebbe la fine della tolleranza introdotta in passato, quando la decadenza scattava solo dopo otto rate saltate. I tecnici più cauti, invece, chiedono di mantenere quella soglia per non rendere il percorso troppo rigido e scoraggiante. La decisione sarà cruciale: due rate farebbero della quinquies una misura “da ufficio riscossione”, otto la trasformerebbero in una “pace fiscale” mascherata.
Altre novità riguardano i criteri di accesso. Saranno esclusi i cosiddetti “rottamatori seriali”, cioè coloro che hanno aderito alle precedenti sanatorie senza poi completare i pagamenti, sfruttando la definizione solo per bloccare pignoramenti e fermi amministrativi. Chi invece è decaduto da una precedente rottamazione, ma non ha più piani in corso, potrebbe essere riammesso, con un periodo più lungo — otto anni invece dei cinque attuali — per saldare il debito.
Non mancano, però, ambiguità nelle bozze. In una di esse, un passaggio mal formulato sembrerebbe escludere proprio chi non ha più rottamazioni “in itinere”, cioè proprio i decaduti. Un errore tecnico che, se non corretto, contraddirebbe lo spirito stesso della misura.
Per quanto riguarda l’ambito temporale, la rottamazione quinquies dovrebbe coprire i carichi affidati alla riscossione fino al 31 dicembre 2023. Alcuni esponenti della maggioranza chiedono però di estendere la finestra al 31 dicembre 2024, così da includere anche i ruoli più recenti. Restano escluse le sanzioni penali, i danni erariali riconosciuti dalla Corte dei conti e gli aiuti di Stato da restituire, come previsto dalle norme europee.
Dalla prima edizione del 2016, le quattro rottamazioni hanno recuperato 38 miliardi di euro su un potenziale complessivo di 112 miliardi, coinvolgendo quasi otto milioni di contribuenti. Un risultato importante, ma incompleto: quasi la metà dei partecipanti — il 49% — ha abbandonato il piano prima del termine, con picchi del 70% nella “rottamazione ter”. Un dato che suggerisce come la durata da sola non basti: serve una struttura sostenibile, con regole chiare e tempi realistici.
La quinta rottamazione, in questo senso, rappresenta un test di credibilità per il governo. Trovare un equilibrio tra rigore e inclusione non sarà facile. Ma è proprio in questa sfida che si misurerà il successo — o il fallimento — di una delle misure fiscali più attese dell’anno.