Se i gioielli di Napoleone non verranno recuperati dalle forze dell’ordine, è probabile che vengano «scomposti» e venduti a pezzi attraverso canali opachi: mercato nero, intermediari d’arte, reti internazionali. Ma il prezzo reale e la visibilità della merce rendono l’operazione tutt’altro che banale
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Il colpo al Louvre solleva una domanda tanto concreta quanto inquietante: dove andrà a finire quel tesoro, se non verrà recuperato subito dalla polizia? La cronaca e l’esperienza degli investigatori che seguono i traffici d’arte offrono uno schema plausibile — non una sentenza — sui possibili percorsi del bottino. E lo scenario è quasi sempre lo stesso: un primo giro di mani a basso prezzo, poi passaggi successivi verso mercati (e compratori) meno scrupolosi, fino all’estero.
Innanzitutto bisogna dirlo: rubare in un grande museo non equivale a piazzare facilmente l’oggetto. La visibilità delle opere e dei gioielli rende complicato venderli «in chiaro». Perciò la banda che ha eseguito il colpo al Louvre difficilmente sarà la stessa che porterà a termine la vendita finale. Il primo anello della catena è quasi sempre locale: un basista o una banda specializzata che sfrutta conoscenze interne o ricognizioni accurate. Subito dopo, la merce cambia proprietario — e il primo passaggio può valere soltanto poche decine o poche centinaia di migliaia di euro, una frazione del valore reale.
Perché questo forte sconto? Per due ragioni semplici. La prima è il rischio: chi acquista «in prima battuta» paga poco perché non può certo esporre un oggetto così riconoscibile. La seconda è la necessità di liberarsi in fretta di ciò che «scotta»: gli investigatori spiegano che tra il furto e lo smaltimento conveniente devono passare settimane — il cosiddetto “periodo di immersione” — durante il quale l’attenzione delle forze dell’ordine è massima. Restare fermi troppo a lungo aumenta il rischio di cattura.
E dopo le prime mani? Qui entra in gioco una rete di intermediari e mercanti d’arte senza scrupoli, spesso con basi in più Paesi. Il mercato nero dell’arte funziona per network: chi compra a poco rivende a qualcun altro che, con metodi e canali consolidati, cerca un acquirente disposto a pagare ben oltre il prezzo iniziale. I luoghi di destinazione più probabili sono quelli dove domanda e anonimato si incontrano: collezionisti privati in paesi con legislazioni meno stringenti sulla provenienza, spazi di mercato dove il denaro è disinibito e la domanda per pezzi unici resta alta. Stati Uniti, Russia, Cina compaiono spesso nei racconti degli investigatori come destinazioni possibili, così come mercati secondari in Europa orientale o nel Golfo.
Non manca neppure la strada digitale: il deep web è diventato una sorta di “bazar” per merci illecite, dove oggetti di valore possono trovare acquirenti anonimi. Ma anche qui la difficoltà è la stessa: i gioielli di Napoleone sono unici, noti, monitorati da banche dati internazionali. Farli circolare senza destare sospetti richiede competenze tecniche e connessioni che non tutte le bande possiedono.
C’è poi un’altra opzione che gli investigatori non escludono: l’arte e i gioielli «scottanti» possono finire per essere smembrati. Gemme e metalli preziosi, separati dalle montature storiche, sono più facili da vendere come materie prime: qui il valore nominale può risultare minore rispetto a quello storico-culturale, ma la handleabilità aumenta. Per i diamanti e le pietre preziose, il mercato globale è vasto e intricato; un singolo pezzo dal valore enorme può essere tagliato, ripulito e fuso in nuove montature, perdendo però la sua “aura” storica ma rendendosi praticamente inevidenziabile.
Un altro stratagemma conosciuto è l’uso di documentazioni false: certificati di autenticità contraffatti, prove di provenienza manipolate, oppure la presentazione di pezzi come copie d’autore. In alcuni casi si aspetta anni, finché il clamore mediatico non si affievolisce, e poi si prova a introdurre l’oggetto nel mercato legale. Le aste e persino i mercatini possono essere tappe finali, quando il furto è stato «raffreddato». Gli investigatori italiani sottolineano però che il Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale e le banche dati internazionali (come la Leonardo e l’Interpol) lavorano 24 ore su 24 proprio per intercettare queste operazioni.
Quanto possono valere i gioielli sul mercato nero? Qui i numeri oscillano: di primo acchito qualche centinaio di migliaia di euro possono bastare per chi vuole liquidare rapidamente, ma chi arriva alla vendita finale, tra intermediari e canali opachi, potrebbe convincere un collezionista estero a pagare qualche milione per pezzi unici — a patto che la provenienza sembri «pulita». È questa differenza tra prezzo di compravendita rapida e valore finale a rendere così remunerativo, nonostante i rischi, il furto su larga scala.
Esistono, però, limiti oggettivi. Alcuni pezzi sono praticamente invendibili senza il rischio di essere scoperti: la fama del Louvre e la notorietà dei gioielli di Napoleone ne fanno oggetti «caldi». In questi casi, l’attesa può protrarsi anni, con i pezzi nascosti o smembrati, in attesa che il mercato cambi. I precedenti giudiziari mostrano che certe opere, dichiarate rubate, sono state ritrovate anche dopo decenni, spesso grazie alla tenacia di investigatori specializzati.
Infine, non va sottovalutata l’azione investigativa internazionale: la cooperazione tra forze dell’ordine, la condivisione delle banche dati e i controlli ai confini hanno complicato notevolmente il traffico illecito. Anche le grandi organizzazioni criminali, che possono disporre di canali internazionali, sanno che operare con pezzi così monitorati è rischioso. Perciò molti furti finiscono per restare una fonte di guadagno rapido per reti criminali locali e intermediari opportunisti, non l’ingresso diretto nel salotto di un magnate.
In conclusione: se i gioielli trafugati non riappariranno nelle prossime settimane, la previsione più probabile è una combinazione di scenari già visti: un primo passaggio a basso prezzo, la separazione delle gemme da montature storiche quando utile, qualche cessione ulteriore attraverso mercati grigi, e infine la tentazione di esportare illecitamente il bottino verso nazioni lontane con domanda disinibita.
Ma la stessa notorietà del colpo gioca contro i ladri: la storicità delle opere le rende difficili da «occultare» definitivamente. Il rischio per i malviventi è alto; il compito per gli investigatori è dispiegare la rete di intelligence culturale e commerciale che, nel tempo, ha già dimostrato di poter ritrovare tesori persi.