Espulse con le madri verso l’Honduras, paese di origine delle tre giovanissime donne, senza preavviso né cure. La più piccola delle tre è affetta da una grave forma di cancro, gli avvocati denunciano gravi violazioni dei diritti costituzionali
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Donald Trump
È una storia che colpisce e lascia sgomenti, quella riportata in queste ore dal Washington Post. Tre bambine, rispettivamente di 2, 4 e 7 anni, cittadine americane a tutti gli effetti, sono state deportate con le loro madri verso l’Honduras, senza alcun preavviso e in circostanze che sollevano interrogativi profondi.
Una di loro, la più piccola, è affetta da una grave forma di cancro, già in stadio avanzato, e secondo quanto riferito sarebbe stata espulsa senza i medicinali salvavita e senza poter consultare il suo medico curante.
L’episodio è accaduto a fine marzo, ma è emerso solo ora, grazie a una denuncia dettagliata firmata da un gruppo di avvocati per i diritti civili. Le madri delle bambine erano regolarmente inserite nell’Intensive Supervision Appearance Program, un protocollo che consente agli immigrati in attesa di esame della propria posizione di rimanere nella comunità sotto controllo. Ma quella che sembrava una procedura standard si è trasformata, all’improvviso, in una deportazione forzata, senza possibilità di avvisare i legali o i familiari.
Secondo la ricostruzione dei fatti, le tre donne – tutte di origine honduregna – si erano presentate a un controllo di routine a New Orleans. Invece di tornare a casa, sono state trattenute, trasferite in un centro di detenzione e in breve tempo messe su un volo per l’Honduras con le figlie. Un rimpatrio lampo, compiuto senza apparenti garanzie procedurali per i minori coinvolti.
Nessuna possibilità, per i padri delle bambine – cittadini o residenti americani – di intervenire. Nessuna verifica medica preventiva, come sembrerebbe nel caso della bambina malata.
L’amministrazione del presidente Donald Trump, responsabile delle linee guida ancora in vigore in alcuni stati, ha replicato sostenendo che le madri avrebbero “scelto” di portare con sé le figlie. Ma i legali che seguono il caso parlano di tutt’altro: una mancanza totale di comunicazione, nessuna firma, nessuna possibilità di lasciare i minori in affidamento al genitore statunitense.
Il caso più grave resta quello della bambina di quattro anni, affetta da un tumore al quarto stadio. La piccola, identificata con le iniziali V.M.L., è nata a Baton Rouge, Louisiana, ed è figlia di un cittadino americano. Documenti ufficiali attestano la sua cittadinanza, eppure anche lei è stata espulsa.
Senza farmaci, senza assistenza, senza la possibilità di proseguire le cure.
Gli avvocati parlano apertamente di “violazioni dei diritti costituzionali” e chiedono l’immediato rientro delle bambine. Ma la vicenda ha già innescato un acceso dibattito negli Stati Uniti. Da più parti si chiede che le norme sull’immigrazione siano applicate con maggiore attenzione ai casi in cui sono coinvolti dei minori, soprattutto se cittadini americani.
Per molti osservatori, quanto accaduto è il frutto di un sistema burocratico rigido, che nei casi più estremi rischia di dimenticare la dimensione umana. Per altri, è la conseguenza diretta di scelte politiche orientate più al controllo che alla protezione.
Nel frattempo, una bambina gravemente malata si trova in un Paese che non conosce, lontana dalle cure di cui ha bisogno. E due sorelline americane sono state allontanate da quella che, sulla carta, dovrebbe essere la loro casa.
La speranza è che questa vicenda possa ancora trovare un epilogo diverso. E che il diritto, soprattutto quando riguarda i più piccoli, sia sempre accompagnato da un dovere di umanità.