La parola che circola a Washington è la stessa da giorni: desegretazione. Dopo anni di sospetti, mezze verità e inchieste chiuse troppo presto, la Camera dei Rappresentanti ha approvato con un risultato schiacciante una legge che obbliga il Dipartimento di Giustizia a pubblicare gli Epstein Files, il dossier che raccoglie documenti, comunicazioni, rapporti investigativi e testimonianze relative a Jeffrey Epstein, il finanziere pedofilo morto nel 2019 in un carcere federale. Il voto parla da solo: 427 favorevoli, un solo contrario. Una maggioranza che non si vede spesso nel Congresso americano di oggi e che mostra quanto il tema sia diventato trasversale.

La legge, sostenuta apertamente dalle sopravvissute agli abusi commessi da Epstein e dalla sua rete criminale, impone che tutti i documenti vengano resi pubblici entro 30 giorni, con le uniche eccezioni legate alla tutela delle vittime. Un passaggio che i democratici salutano come un trionfo di trasparenza, ma che sorprendentemente trova consensi anche tra molti elettori MAGA. Proprio quella parte del trumpismo che per anni ha agitato teorie complottiste sul “sistema” ora vede nella pubblicazione dei file un’occasione per fare luce su una vicenda che ha attraversato finanza, potere, politica e celebrità.

Il paradosso è che mentre una fetta del mondo conservatore festeggia, il vero terremoto si consuma dentro il campo trumpiano. A guidare la ribellione è Marjorie Taylor Greene, ex mascotte dell’ala più radicale del GOP e per lungo tempo fedelissima di Donald Trump. Oggi è lei la voce più feroce contro il presidente, che pochi giorni fa l’aveva definita “traditrice” per essersi schierata apertamente con i democratici nella richiesta di rendere pubblici tutti i documenti.

Le immagini del suo discorso davanti al Campidoglio hanno fatto il giro del Paese. Greene, vestita di bianco in un richiamo al movimento per il suffragio femminile, circondata dalle donne che da ragazzine subirono abusi nella rete di Epstein, ha lanciato il suo contrattacco: «Lasciate che vi spieghi chi è un traditore. Un traditore è un americano che serve sé stesso e Paesi stranieri. Un patriota serve gli Stati Uniti e le donne che sono qui dietro di me». Parole durissime, soprattutto perché pronunciate da chi ha conosciuto dall’interno ogni centimetro del trumpismo e ne ha condiviso le battaglie.

Secondo Greene, il caso Epstein «ha diviso il movimento MAGA come mai prima d’ora». Un’accusa precisa: l’ex presidente, dice, non avrebbe mai voluto che certi documenti venissero resi pubblici. È su questo terreno che la rottura è diventata definitiva. Greene ha ricordato di aver sostenuto Trump per sei anni “gratis”, senza mai chiedere nulla. Oggi, però, dice apertamente che il presidente le ha voltato le spalle per «ragioni personali» e non per difendere le vittime.

La Casa Bianca ha risposto duramente, accusando i democratici di aver ignorato per anni la situazione di Epstein e cercando di ridimensionare l’attacco: «Il presidente Trump ha sempre chiesto trasparenza e ora la sta garantendo» ha dichiarato un portavoce, nel tentativo di arginare la frattura interna.

Accanto a Greene, nel frattempo, le sopravvissute hanno chiesto alle istituzioni di smetterla con la lotta politica e pensare a nuove protezioni per i minori. Lisa Phillips, una delle ex ragazze che denunciò la rete criminale, ha detto chiaramente che non vuole vedere la vicenda trasformata in un’arma elettorale: «Questo non riguarda partiti o presidenti. Riguarda la sicurezza dei bambini e la dignità delle vittime».

A questo punto l’interrogativo diventa inevitabile: che cosa c’è davvero negli Epstein Files? Il dossier contiene anni di documenti federali, testimonianze riservate, liste di contatti, email, report su movimenti aerei, relazioni sulle visite nei suoi jet privati e nelle sue proprietà. Materiale potenzialmente esplosivo, in grado di imbarazzare figure di ogni livello, non solo nel mondo democratico o in quello repubblicano.

La legge ora passa al Senato, dove la maggioranza bipartisan sembra solida abbastanza da garantire l’approvazione anche nella seconda camera. L’America entra così nella fase del conto alla rovescia: trenta giorni per decidere se il caso Epstein avrà finalmente un atto di verità o se sarà l’ennesimo episodio di un infinito labirinto di ombre, omissioni e sospetti. Intanto, il Paese osserva e aspetta. Le sopravvissute reclamano giustizia, i cittadini vogliono risposte, e dentro il trumpismo continua a bruciare una ferita che nessuno avrebbe immaginato possibile.