Stash, voce e volto dei The Kolors, ha scelto di non edulcorare nulla. È tornato positivo al Covid e lo ha annunciato ai fan con parole che sono insieme un aggiornamento sulla sua salute e un atto di memoria collettiva. «Ho fatto un altro tampone ed è uscito positivissimo. Non sento più i sapori e gli odori, sensazione che ho già provato ed è fastidiosissima. Tutto il cortisone che ho preso non ha aiutato, è stato solo come buttare benzina sul fuoco. Ora devo solo aspettare che passi», ha scritto sui social.

L’attesa, però, significa anche fermare la musica. Il tour estivo dei The Kolors ha dovuto cancellare tre date in Sicilia, lasciando a bocca asciutta migliaia di fan che attendevano i live da tempo. «La sensazione è brutta e frustrante, perché c’erano migliaia di persone che ci aspettavano in concerto. Spero davvero di darvi presto buone notizie. Con gli organizzatori stiamo cercando di capire come recuperare le date», ha aggiunto.

Le sue parole non restano sul piano personale. Lo sfogo vira verso un ricordo che non è solo suo ma di un intero Paese: «Tanti mi scrivono di non chiamarlo Covid, ma influenza. Io in ospedale ci sono stato davvero: avevo la polmonite da entrambi i lati, l’ossigeno attaccato e la paura di morire. Non era influenza stagionale, vi assicuro che no». Una testimonianza che ha il sapore del monito: ricordare ciò che è stato per non scivolare nell’oblio.

Stash non parla da medico, ma da testimone diretto. Chi ha visto dall’interno un reparto Covid non dimentica. La sua voce si intreccia con quella di tanti che in quei mesi hanno perso parenti, amici, colleghi. «Oggi abbiamo più strumenti per affrontarlo – prosegue – ma io non posso dimenticare quello che ho vissuto. Se sono positivo, se devo prendere un aereo, non riesco a non proteggermi e a non proteggere le altre persone. Magari c’è la signora di ottant’anni che vuole abbracciarti, e quell’abbraccio potrebbe essere letale per lei. È una questione di rispetto».

Le sue parole rimettono al centro una questione che l’estate e la voglia di leggerezza sembrano aver cancellato: il Covid non è scomparso. È cambiato, si è attenuato nei suoi effetti più devastanti, ma continua a circolare. Chi ha memoria diretta della pandemia, chi ha provato sulla pelle la fatica del respiro e l’angoscia dei reparti blindati, sa che la definizione di “influenza” non regge.

La frustrazione per i concerti saltati diventa, nelle sue parole, secondaria rispetto al bisogno di raccontare, di fissare nella coscienza collettiva che certe esperienze non possono essere riscritte. «Non posso far finta di niente», ribadisce. Un messaggio che non è rivolto solo ai suoi fan ma a un’intera generazione che rischia di archiviare troppo in fretta quello che il virus ha significato.

Il cantante che sul palco incarna energia e leggerezza oggi presta la sua voce a un tema scomodo: il rispetto per chi è fragile. Perché la memoria non è un peso, ma uno strumento di responsabilità. E se a ricordarlo è un artista pop, forse l’impatto è ancora più forte. Stash non pretende di avere soluzioni, ma ha deciso di non piegarsi alla rimozione collettiva: «Chi ha respirato con l’ossigeno in ospedale non dimentica».

Il suo appello resta lì, in bilico tra confessione e ammonimento: non riduciamo il Covid a un inciampo qualsiasi. Non chiudiamo gli occhi di fronte al rischio che ancora rappresenta per chi non ha difese. Non confondiamo mai più una malattia che ha stravolto il mondo con una semplice influenza stagionale.