Quando l’estate cede il passo e cala il sipario sul tormentone del caro-spiagge, a tornare protagonista sarà il carrello della spesa. Perché i prezzi del cibo non rallentano, anzi corrono più veloci di tutto il resto. L’Istat, nei dati di luglio, registra un aumento medio dei prezzi dell’1,7%, ma gli alimentari e le bevande segnano un balzo del 3,9%, quasi il doppio. Una percentuale che si traduce in numeri concreti: secondo Legacoop Agroalimentare, la maggiore spesa annua per una famiglia è di 535,50 euro, di cui ben 190,40 dovuti solo alla voce “alimentari”.

Un conto salato che pesa soprattutto sulle famiglie con redditi più bassi, dove il cibo rappresenta una quota molto più ampia delle uscite complessive. L’Istat segnala che la forbice tra il quinto più ricco e quello più povero della popolazione si è leggermente ridotta negli ultimi mesi, ma resta una maggiorazione dello 0,2% a carico delle famiglie meno abbienti. Piccola differenza, che però significa centinaia di euro in più da sborsare proprio dove il bilancio domestico è già al limite.

A spingere i prezzi verso l’alto sono soprattutto gli alimentari non lavorati: il tasso di crescita è passato in un mese dal 4,2% al 5,1%. Colpa, spiegano gli analisti, dei vegetali freschi o refrigerati, ma soprattutto della frutta che segna un’impennata dell’8,8% su base annua. Male anche le carni, con un più 4,9%. Meno peggio i prodotti lavorati, che comunque passano dal 2,7% al 2,8%, restando sopra la media generale.

«Questi numeri si inseriscono in un dibattito estivo molto concentrato sul “caro-ombrellone” – sottolinea Cristian Maretti, presidente di Legacoop Agroalimentare – ma a settembre torneremo inevitabilmente a discutere dei fondamentali: la scarsa produttività e attrattività del Paese, l’aumento delle aree a rischio povertà». Parole che fotografano un quadro in cui il costo della vita non segue le stesse dinamiche per tutti.

Le cause? Innanzitutto i costi di produzione, che non sono tornati ai livelli prebellici. L’energia resta ancora del 50% più cara rispetto a prima della guerra in Ucraina, trascinando verso l’alto l’intera filiera agroalimentare. A questo si sommano gli eventi meteorologici estremi: alluvioni e grandinate al Nord, siccità record al Sud, con falde impoverite e carenze strutturali nei sistemi di raccolta e distribuzione dell’acqua.

Una situazione che le associazioni di categoria hanno definito peggiore perfino di quella del 2024. Non stupisce, dunque, che nella top ten dei rincari redatta da Repubblica utilizzando i dati Istat ci siano agrumi come arance (+14%) e altri agrumi (+17,9%). Seguono alimenti insospettabili: caffè, cacao e cioccolato in polvere, ma anche il burro, ingrediente base che entra in centinaia di preparazioni quotidiane.

Il fenomeno, però, non è solo italiano. L’ultimo rapporto Onu sullo “Stato della sicurezza alimentare e della nutrizione nel mondo” parla chiaro: i prezzi alimentari sono cresciuti ininterrottamente negli ultimi due anni.

Le conseguenze in Africa sono devastanti: il numero delle persone che non possono permettersi una dieta sana è salito da 864 milioni nel 2019 a un miliardo nel 2024. Nei Paesi a basso reddito il salto è stato da 464 a 545 milioni, mentre in quelli a reddito medio-basso si è passati da 791 a 869 milioni.

Dati che allontanano di fatto l’obiettivo dell’Agenda Onu: sconfiggere la malnutrizione infantile entro il 2030. Il paradosso è che l’inflazione generale sembra raffreddarsi, mentre quella alimentare continua a bruciare.
Una “doppia velocità” che non solo aggrava le disuguaglianze, ma mina la fiducia dei cittadini, già provata da anni di pandemia, guerra e instabilità economica.
E così, quando finirà il tempo delle vacanze e delle polemiche balneari, gli italiani torneranno a fare i conti con il problema più concreto di tutti: il prezzo del pane, della frutta e della carne. Perché l’inflazione, quella vera, si misura soprattutto in cucina.