Tajani: «Minacce inaccettabili». Anche la Ue e la Spagna protestano. Ma da Tel Aviv arriva solo la solita scusa: «Erano fuori percorso»
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Ormai Israele non spara più soltanto sui palestinesi. Adesso punta i fucili anche sui diplomatici europei. Inclusi gli italiani. L’ennesima giornata di tensione nella Cisgiordania occupata si è trasformata in un incidente diplomatico internazionale, quando l’esercito israeliano ha aperto il fuoco — “colpi di avvertimento”, dicono loro — in direzione di una delegazione composta da oltre trenta rappresentanti di governi e organizzazioni internazionali, in visita a Jenin. Tra loro, anche il viceconsole italiano Alessandro Tutino, che è poi rientrato illeso a Gerusalemme.
Il messaggio che Israele sta lanciando all’Europa è chiaro: statevene alla larga. O vi spariamo addosso.
È servita una telefonata urgente del ministro degli Esteri Antonio Tajani per ottenere spiegazioni. «Le minacce contro i diplomatici sono inaccettabili», ha scritto il capo della Farnesina su X. E mentre Madrid ha condannato duramente l’episodio, l’Alta rappresentante UE Kaja Kallas ha chiesto che «i responsabili siano portati davanti alla giustizia». Richiesta destinata, verosimilmente, a finire nel cestino degli insulti, come tutte le proteste che in questi mesi hanno tentato — invano — di frenare la furia di Netanyahu e del suo governo.
Per l’Idf, l’incidente è solo una svista. I diplomatici «avrebbero deviato dal percorso concordato». Come se questo giustificasse lo sparo su una delegazione ufficiale composta da funzionari di 25 Paesi, tra cui Regno Unito, Francia, Canada, Russia, Cina, Egitto, Marocco e Unione Europea. Una comitiva internazionale fatta oggetto di fuoco militare, come se si trattasse di una minaccia armata. Come se un viceconsole fosse un terrorista.
I video diffusi dall’Autorità Palestinese mostrano chiaramente soldati israeliani che sparano dall’interno del campo profughi, mentre i diplomatici — molti con giubbetti identificativi — fuggono verso le auto.
A caldo è arrivato anche l’ordine del generale Yaki Dolf, comandante della divisione Cisgiordania: indagine interna, contatti con i Paesi coinvolti, comunicazioni immediate. Tutto previsto, tutto rituale. Una prassi che serve solo a spegnere gli incendi mediatici, non certo a mettere in discussione l’impunità con cui l’Idf agisce nei territori occupati.
Perché la verità è che, sotto Netanyahu, non esistono più linee rosse. Colpire i civili, distruggere ospedali, impedire ai giornalisti di documentare, e adesso sparare anche contro rappresentanti stranieri: la guerra permanente di Israele nella regione ha smesso da tempo di avere confini morali o diplomatici.
La Convenzione di Vienna obbliga ogni Stato a garantire la sicurezza dei diplomatici. Ma è difficile chiedere a Netanyahu il rispetto del diritto internazionale, quando calpesta ogni giorno quello umanitario.
E stavolta, nella linea di tiro, c’eravamo anche noi.