Donald Trump è tornato alla Casa Bianca e con lui un’agenda di politica estera che rompe gli schemi tradizionali. Dopo i primi mesi del suo secondo mandato, la nuova diplomazia americana si sta muovendo rapidamente verso un riavvicinamento pragmatico al mondo arabo. Tra incontri inattesi, aperture simboliche e maxi-accordi economici, il presidente Trump sta ridisegnando l’architettura delle relazioni tra gli Stati Uniti e il Medio Oriente, puntando su stabilità e interessi reciproci.

A far notizia è a normalizzazione dei rapporti con la Siria e la fine delle sanzioni. Le immagini diffuse dalla presidenza americana – con un Trump sorridente che accoglie calorosamente i vertici del nuovo regime siriano – hanno fatto il giro del mondo. Sebbene la Siria desti ancora preoccupazioni, il gesto è apparso come un chiaro segnale: l’amministrazione Trump è pronta a trattare con chiunque possa garantire ordine e contenere l’influenza iraniana nella regione.

Parallelamente, l’asse con il Qatar si consolida su basi economiche solide. A margine del nuovo US-Gulf Strategic Forum tenutosi a Doha, Trump ha supervisionato la firma di una serie di intese miliardarie nei settori dell’energia, delle infrastrutture e della difesa. «Il Qatar è un partner fondamentale per la pace e la prosperità», ha dichiarato il presidente, elogiando la leadership dell’emiro e aprendo a un ampliamento della base militare americana di al-Udeid.

Questa nuova strategia non si fonda su alleanze ideologiche, ma su una logica di interessi. Il ritorno alla “realpolitik” in stile Trump abbandona le tradizionali pressioni per riforme democratiche, privilegiando invece la cooperazione diretta con regimi stabili e disposti a fare affari. Una visione che, secondo il presidente, rappresenta «l’unico approccio realistico per un Medio Oriente sicuro».

Sul fronte europeo, la mossa divide: se da un lato Bruxelles esprime preoccupazione per l’apparente riabilitazione di figure compromesse, dall’altro alcune capitali – come Roma e Budapest – accolgono positivamente la fine dell’isolamento diplomatico verso alcuni attori regionali, intravedendo margini per un nuovo equilibrio geopolitico.

L’opposizione interna americana, soprattutto tra i democratici e nei media liberal, critica duramente la “normalizzazione” con regimi autoritari. Ma Trump replica secco: «Non facciamo lezioni, facciamo accordi. E gli accordi funzionano».

In un mondo sempre più multipolare, la diplomazia personale del presidente Trump segna un ritorno al bilateralismo diretto, senza filtri e senza preamboli. I risultati? Ancora da verificare sul lungo periodo. Ma intanto il segnale è chiaro: l’America trumpiana è tornata, e tratta da pari a pari con chiunque possa contribuire a rafforzarne l’influenza globale. Anche nel cuore del mondo arabo.