Con i conflitti ai confini dell’Europa e l’instabilità crescente, si cerca di correre ai ripari: servono almeno 40mila soldati in più ma l’unica idea concreta è una “riserva” di 10mila ausiliari. La maggioranza vuole richiamare ex militari, l’opposizione punta sulla sanità militare. Ma senza soldi, il progetto rischia di restare sulla carta
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La guerra, quella vera, non è mai stata così vicina dai tempi della Jugoslavia. In un’Europa agitata da focolai ovunque – Ucraina, Medio Oriente, tensioni nei Balcani – l’Italia scopre di non essere pronta. Non abbastanza, almeno. Il grido d’allarme arriva direttamente dalle forze armate, che da mesi chiedono rinforzi urgenti. Il ministro della Difesa Guido Crosetto ha fatto i conti: servono almeno 40mila militari in più. Ma il ministero dell’Economia frena. E così, mentre si discute di numeri, la politica prova ad arrangiarsi con un piano B: una riserva militare di 10mila volontari.
Il Parlamento ne parlerà a luglio, prima che scada la legge delega del 2022 che istituiva la cosiddetta "riserva ausiliaria". Sul principio, tutti d’accordo: creare una forza di supporto da attivare in caso di emergenza nazionale. Ma sui dettagli, le proposte divergono.
La Lega, con il presidente della Commissione Difesa Nino Minardo in testa, propone di pescare tra gli ex militari della ferma breve. Personale già addestrato, pronto a essere richiamato per difendere i confini o supportare le forze armate in situazioni critiche. “Sono uomini e donne formati – spiega Minardo – già addestrati per intervenire rapidamente in caso di necessità. Un bacino prezioso, che va attivato ora”.
Secondo la bozza leghista, i riservisti potrebbero essere impiegati anche in compiti operativi: pattugliamenti, presidio del territorio, difesa passiva. In caso di guerra, insomma, potrebbero anche finire in prima linea.
Diversa la visione del Pd, che con Stefano Graziano e Piero Fassino propone un modello più soft. “Conflitti sempre più tecnologici richiedono professionisti, non volontari al fronte”, dicono. La loro idea è quella di valorizzare il corpo militare volontario della Croce Rossa, oggi ridotto ai minimi termini. Circa 150mila volontari CRI sarebbero potenzialmente attivabili per sostenere la sanità militare e civile in emergenze belliche o catastrofi naturali. Medici, infermieri, autisti, logisti. Non soldati, ma personale strategico.
In fondo, spiegano dal centrosinistra, si tratta di rafforzare il “back-office” della guerra, quella macchina che tiene in piedi l’apparato logistico, senza mandare allo sbaraglio cittadini volenterosi ma inesperti.
Nel frattempo, la proposta degli alpini – sostenuta anche da Crosetto – torna sul tavolo: creare un corpo ausiliario alpino formato da ex militari della leva, già attivi nella Protezione Civile. Nessun costo per lo Stato, ma un valore aggiunto enorme in termini di esperienza e affidabilità.
Sul tavolo della Commissione Difesa ci sono due proposte di legge: una firmata da Minardo, l’altra da Graziano. Entrambe puntano a istituire la riserva militare, ma con visioni opposte. Il dibattito è appena cominciato, ma il tempo stringe. Perché mentre la politica discute su chi chiamare – ex soldati o crocerossine – i venti di guerra soffiano forte anche sull’Italia.