Il silenzio delle colline toscane, interrotto soltanto dal fruscio del vento tra i castagni, nasconde ancora oggi il ricordo di uno dei capitoli più bui della storia italiana. Ottantuno anni fa, il 12 agosto 1944, Sant’Anna di Stazzema divenne teatro di un massacro che la coscienza civile del Paese non può dimenticare. Tre reparti di SS risalirono verso il borgo, mentre un quarto contingente chiudeva ogni via di fuga a valle, sopra Valdicastello. In poche ore, centinaia di civili vennero rastrellati, radunati e uccisi con raffiche di mitra, bombe a mano, colpi di pistola.

Tra le vittime c’erano donne, anziani, sfollati in cerca di un rifugio sicuro e soprattutto bambini. Oltre cinquecento vite spezzate, molte delle quali bruciate in cumuli, in un’operazione di terrore cieco che univa la brutalità delle SS alle «disonorevoli ed esecrabili complicità fasciste», come le ha definite il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Un crimine senza giustificazione, simbolo di quella logica di annientamento che la Seconda guerra mondiale ha inciso a fuoco nella memoria europea.

In un messaggio inviato in occasione dell’anniversario, il capo dello Stato ha ricordato l’eccidio come «ferita indelebile impressa nella nostra storia» e «pungolo per richiamare alla responsabilità di respingere la violenza dell’uomo contro l’uomo». Per Mattarella, il lascito di Sant’Anna non è soltanto un atto di dolore, ma un richiamo a costruire «convivenza, rispetto del diritto fra eguali, centralità della persona umana e valore della comunità».

Il presidente ha sottolineato come la memoria di quel giorno tragico sia «condizione che tiene unite le generazioni nel progredire dell’identità di un popolo» e un presidio contro il riaffacciarsi di odio, violenza e volontà di dominio. «Oggi le guerre tornano a gettare le loro ombre spettrali», ha ammonito, ricordando che la ferocia già vista nella storia, e che si sperava dissolta, è ancora capace di colpire.

Per la comunità di Stazzema, l’orrore non si è mai spento, ma è diventato anche simbolo di resistenza civile. «Dall’abisso del dolore e della sofferenza – ha scritto Mattarella – la comunità di Stazzema e, con essa, l’Italia intera, hanno trovato le forze per riscattare la disumanità degli oppressori, per edificare su basi nuove la dignità delle persone, la libertà per tutti, la democrazia, la pace».

La strage di Sant’Anna, avvenuta nel pieno della ritirata tedesca, fu parte di una più ampia strategia di rappresaglia e terrore attuata nei territori occupati. La scelta del borgo, allora popolato soprattutto da sfollati provenienti dalle città bombardate, rispondeva alla logica di colpire comunità inermi per intimorire la popolazione e ostacolare i movimenti partigiani. Una strategia che non risparmiava nemmeno i più deboli, come dimostra il fatto che tra le vittime vi furono numerosi bambini, alcuni di pochi mesi di vita.

Nel dopoguerra, Sant’Anna di Stazzema è divenuta non solo un luogo della memoria, ma anche un simbolo internazionale di impegno per la pace. Il Parco Nazionale della Pace, sorto nei luoghi della strage, accoglie ogni anno migliaia di visitatori, studenti e delegazioni istituzionali. Le sue pietre, le lapidi e i sentieri raccontano, senza bisogno di parole, ciò che accadde in quella giornata d’estate del 1944.

Ogni 12 agosto, le campane del paese suonano a lutto e la comunità si raccoglie per ricordare. L’assenza di superstiti diretti – sempre più marcata con il passare degli anni – rende ancora più urgente il compito di tramandare il ricordo, affinché non si riduca a un capitolo lontano nei libri di storia, ma resti un monito vivo contro ogni forma di sopraffazione.

Il messaggio di Mattarella, come in passato, non è soltanto un atto di commemorazione, ma un invito alla vigilanza democratica. La memoria, ha ribadito, «tiene vigili le coscienze» e impedisce che la disumanità possa ripresentarsi sotto nuove forme. In tempi in cui conflitti e tensioni internazionali sembrano riaffacciarsi con forza, il ricordo di Sant’Anna di Stazzema suona come un avvertimento solenne: la pace e la libertà non sono mai conquiste definitive, ma frutti fragili da custodire con cura, giorno dopo giorno.