Una lettera che potrebbe pesare più di un discorso ufficiale. È questo il gesto che ha segnato l’incontro in Alaska tra Donald Trump e Vladimir Putin. Non una dichiarazione a favore di telecamere, non una conferenza stampa preparata a tavolino, ma un foglio consegnato a mano, scritto da Melania Trump e destinato direttamente allo zar russo.

La scena, avvenuta ad Anchorage, ha già assunto i contorni del simbolo: un atto apparentemente silenzioso, ma che i media ucraini hanno subito trasformato in un caso politico internazionale. La Reuters ha rivelato l’indiscrezione, citando due funzionari della Casa Bianca, ed è bastato questo per accendere i riflettori. Perché non si è trattato di una lettera qualsiasi, bensì di un testo in cui la first lady statunitense avrebbe scelto di affrontare il nodo più doloroso e controverso della guerra: quello dei bambini deportati in Russia.

Secondo Ukrinform, la missiva avrebbe richiamato esplicitamente le cifre diffuse da Kiev. Dall’inizio dell’invasione su larga scala, il 24 febbraio 2022, almeno 19.500 minori ucraini sono stati strappati alle loro famiglie e trasferiti forzatamente oltre confine. Una cifra che potrebbe essere addirittura più alta, considerata l’opacità delle fonti ufficiali russe. Ad oggi, poco più di 1.400 bambini sono riusciti a tornare a casa, mentre 1,6 milioni vivono tuttora in territori sotto occupazione. Sono numeri che non restano sulla carta: per ogni cifra c’è un nome, un volto, un destino spezzato. E la scelta di Melania di farsene portavoce attraverso una lettera indirizzata a Putin ha colto tutti di sorpresa.

Melania non era presente fisicamente ad Anchorage. Niente telecamere puntate su di lei, nessun ruolo ufficiale nell’incontro. Ma la sua assenza si è trasformata in presenza simbolica nel momento in cui Trump, davanti alle telecamere che documentavano il vertice, ha fatto recapitare quel foglio al leader del Cremlino. Secondo le fonti americane, il contenuto non è stato reso noto. Nessuna conferma, nessuna smentita. Ma i media ucraini hanno immediatamente colmato il vuoto con un’interpretazione precisa: quelle righe contenevano un appello diretto sul destino dei bambini, forse un richiamo agli stessi mandati di arresto emessi dalla Corte penale internazionale contro Putin e la sua commissaria per l’Infanzia, Maria Lvova-Belova, accusati di crimini di guerra per deportazione illegale.

A Kiev la lettera è stata accolta con entusiasmo. Andriy Yermak, capo dell’ufficio presidenziale di Zelensky, ha scelto di commentare pubblicamente con un post su X: “Grazie Melania per la tua leadership”. Un ringraziamento che suona come un riconoscimento ufficiale a una figura che finora aveva sempre mantenuto un profilo defilato nella politica internazionale. Yermak ha rilanciato anche le parole dell’iniziativa “Bring Kids Back UA”, che da tempo chiede la restituzione dei minori deportati: “Ogni parola di sostegno li avvicina alle loro famiglie, alle loro comunità, alle loro case”. A Washington, invece, prevale il silenzio: la Casa Bianca non ha rilasciato commenti ufficiali, mantenendo la linea della discrezione.

Il risultato, però, è sotto gli occhi di tutti: la mossa della first lady ha spostato l’attenzione mondiale su un tema che rischiava di restare sullo sfondo dei negoziati, oscurato dalle questioni militari ed economiche. La scelta di Melania rompe gli schemi e apre uno spazio di diplomazia parallela, quella che non passa per i canali tradizionali ma che può lasciare segni più profondi. Non è la prima volta che la moglie di un presidente Usa tenta di costruirsi un ruolo autonomo. Ma raramente un’iniziativa del genere ha toccato un nervo così scoperto in un conflitto che dura ormai da oltre tre anni.

Resta da capire quali effetti concreti potrà avere questo gesto. Per il momento la lettera ha un valore più simbolico che pratico, ma in guerra anche i simboli contano. Una mano tesa da una first lady che, lontana dai riflettori, ha deciso di trasformarsi in portavoce dei più indifesi. E un presidente che, mentre stringeva la mano del suo avversario storico, ha recapitato a Putin le parole scritte da sua moglie. Un gesto che non chiude il conflitto, non cancella le bombe né i fronti aperti, ma che si imprime nell’immaginario come un messaggio rivolto al mondo intero: la guerra in Ucraina non è fatta soltanto di carri armati e territori contesi, ma anche di bambini scomparsi che qualcuno, finalmente, prova a riportare a casa.