Il riconoscimento è arrivato ieri scorso nella cattedrale di Maria Santissima Annunziata a Tursi, in provincia di Matera. È il 72° miracolo ufficiale legato al santuario di Lourdes. Il sigillo è stato posto dal vescovo di Tursi-Lagonegro, Vincenzo Orofino, davanti alla comunità riunita. Ma per Antonietta Raco, 66 anni, originaria di Francavilla in Sinni, quel miracolo era già accaduto sedici anni fa, e da allora nulla è più stato come prima.

La sua vicenda comincia con una diagnosi terribile: sclerosi laterale primaria. Quattro anni passati su una sedia a rotelle, senza alcuna possibilità, secondo i medici, di tornare a camminare. Nell’estate del 2009, decide di partecipare a un pellegrinaggio a Lourdes, accompagnata dai volontari dell’Unitalsi. Non per chiedere una guarigione per sé, ma per pregare per una bambina gravemente malata del suo paese.

«Sono entrata nella piscina accompagnata da tre dame. Poco dopo due si allontanarono, poi anche la terza si spostò leggermente. Fu allora che sentii qualcuno sorreggermi il collo. Provai a voltarmi, ma non c’era nessuno», racconta oggi Antonietta, seduta nel salotto di casa, con una calma che non lascia intuire nulla dell’eccezionalità della sua storia.

Quello che successe subito dopo non trova spiegazioni nelle cartelle cliniche. «Avvertii un forte dolore in entrambe le gambe, poi una sensazione di sollievo. E una voce femminile, bellissima, soave. Mi ripeteva: “Non avere paura”. Solo io la sentivo. Tremavo. Ma non dissi nulla a nessuno.»

Il silenzio durò giorni. Tornata in Basilicata, era ancora sulla sedia a rotelle. Poi, la sera del 5 agosto, guardando la televisione accanto al marito, quella voce tornò. «Mi diceva di chiamare Antonio e raccontargli tutto. L’ho fatto. E quando ho provato ad alzarmi, ci sono riuscita. Ho camminato nella stanza. Ho fatto pure due giravolte. Mio marito era senza parole.»

Il medico del paese fu chiamato immediatamente. Anche il parroco, don Franco La Canna, fu informato. «Il medico disse che non era razionale. Mi consigliò di recarmi subito alle Molinette di Torino, nel centro specializzato per la Sla dove ero in cura», ricorda Antonietta. «Quando mi videro entrare sulle mie gambe, medici e infermieri rimasero immobili. Il professor Adriano Chiò mi visitò. Mi sottopose a vari esami, poi mi abbracciò. Non disse nulla, ma si commosse.»

Secondo la medicina, non c’erano possibilità. «Nessuna», precisa lei. Ma qualcosa era accaduto. Negli anni successivi, il caso di Antonietta è stato sottoposto a continue verifiche, sia in Italia sia a Lourdes. «Ho fatto tantissime visite, soprattutto al Bureau des constatations médicales. Sono stata esaminata da medici italiani e stranieri. Ho sempre detto loro: se questo può aiutare a comprendere meglio la malattia, ben vengano gli accertamenti.»

Alla domanda su cosa prova per la Madonna, Antonietta risponde con semplicità: «L’ho sempre considerata una madre. Dopo quello che è successo, sento la sua presenza accanto. Ma non mi sento speciale. Siamo solo strumenti nelle mani di Dio.»

Anche il motivo del suo viaggio a Lourdes lascia spazio a una riflessione amara. «Ero andata per pregare per una bambina malata. Quando ho capito che la grazia era arrivata a me, non sapevo come dirlo alla sua mamma. Mi vergognavo anche a camminare. La gente del paese mi guardava sbalordita.»

Oggi Antonietta è volontaria dell’Unitalsi. Accompagna gli ammalati a Lourdes, offre sostegno in parrocchia, si prende cura del marito, che ha problemi di salute. «Senza l’Unitalsi non sarei mai potuta andare a Lourdes. Ora provo a restituire ciò che ho ricevuto. Ma volontari si può esserlo ogni giorno, stando accanto a chi soffre.»

Alla domanda se tornerà al Santuario, la risposta è immediata. «Certo. Lourdes è casa mia. Ogni giorno la mia mente torna alla Grotta. E non passa giorno senza che io pensi a quello che è accaduto lì.»

Le sue parole, come la sua voce, non cercano clamore. Non invocano definizioni. Il miracolo è stato riconosciuto. Ma per Antonietta, che continua la sua vita tra casa, parrocchia e volontariato, «non è cambiato nulla». Solo la consapevolezza di una presenza, che l’accompagna da sedici anni.