La Global Sumud Flotilla non è soltanto la più grande missione umanitaria del nostro tempo: è anche un messaggio politico, morale e civile che attraversa il Mediterraneo. Decine di navi sono partite dall’Europa e dall’Africa, cariche di tonnellate di cibo, medicinali e beni di prima necessità. Hanno un obiettivo preciso e limpido: rompere l’assedio a Gaza e portare sollievo a una popolazione martoriata da mesi di bombardamenti, deportazioni e fame indotta. Non è un atto simbolico, è un atto concreto, che rischia di ridisegnare le coscienze.

I parlamentari a bordo: politica con la P maiuscola

Quattro parlamentari italiani hanno deciso di salire a bordo: Benedetta Scuderi (Avs), Annalisa Corrado (Pd), Arturo Scotto (Pd) e Marco Croatti (M5S). Non ci sarà nessun rappresentante della destra né della maggioranza di governo. «Ci stanno mettendo i corpi», ha ricordato la portavoce italiana della Flotilla, Maria Elena Delia. E proprio qui sta il cuore della questione: la politica dei corpi, cioè la resistenza civile che non si limita a dichiarazioni e comunicati, ma si fa azione diretta, rischio personale, scelta etica. È politica nel senso più autentico: non quella che si consuma nei palazzi, ma quella che si costruisce nei porti, sulle banchine, tra la gente, e adesso in mare aperto.

Questa volta la politica è tornata ad essere carne e sangue. I quattro parlamentari italiani non sono simboli isolati: rappresentano un modo diverso di intendere la responsabilità, la capacità di prendere posizione e di trasformarla in azione. Ed è significativo che a mancare all’appello siano proprio coloro che, al governo, dovrebbero garantire almeno la sicurezza dei propri connazionali.

Accanto a loro ci sarà Emergency, che ha annunciato il proprio sostegno medico, logistico e di osservazione durante tutta la traversata. Non è solo un gesto simbolico, ma un impegno pratico e sostanziale, coerente con la storia di Gino Strada e con lo spirito dell’organizzazione: curare, testimoniare, agire. «Lo facciamo perché quando un governo blocca gli aiuti umanitari commettendo un crimine di guerra, le persone hanno il diritto e il dovere di agire direttamente e in modo non violento», hanno dichiarato. È l’essenza della disobbedienza civile, che non accetta l’ingiustizia come destino ma sceglie di sfidarla, anche a costo della propria sicurezza.

La destra e le parole sbagliate

Eppure, mentre donne e uomini rischiano la vita in mare, la politica di governo deride o distorce. Matteo Salvini ha parlato di «flotte in navigazione verso Israele», confondendo volutamente Gaza con Israele e riducendo un genocidio riconosciuto da studiosi e giuristi internazionali a una “guerra come le altre”. Ha accusato gli attivisti di antisemitismo, un’accusa infondata e pericolosa: nessuno della Flotilla ha mai parlato “di ebrei”, ma solo dei crimini di guerra del governo Netanyahu e dell’uso della fame come arma di distruzione. È la solita cortina fumogena fatta di ipocrisia e disinformazione. Storicamente, chi ha perseguitato gli ebrei non è la sinistra ma le destre estreme, le stesse da cui questo governo non ha mai preso una chiara distanza.

Mentre il governo Meloni tace, minimizza o parla di “oneri”, la Spagna di Pedro Sánchez ha fatto ciò che dovrebbe fare ogni esecutivo degno di questo nome: ha garantito protezione diplomatica e consolare ai propri cittadini a bordo e ha chiesto all’Unione Europea di sospendere l’accordo di associazione con Israele per violazione sistematica dei diritti umani. È la differenza tra chi difende i propri cittadini e il diritto internazionale e chi, invece, si rifugia nella propaganda interna.

La minaccia di Israele

Israele, per bocca del ministro della Sicurezza nazionale Ben Gvir, ha già annunciato che considererà i partecipanti «terroristi», promettendo arresti e confisca delle navi. È un paradosso semantico e politico: chiamare terroristi attivisti che portano pane, latte in polvere e farmaci a una popolazione affamata. È una violenza verbale che anticipa quella fisica. Ma questa volta non c’è una sola nave: ce ne sono cinquanta, con i riflettori del mondo puntati addosso. E quando la solidarietà diventa visibile, la violenza mostra la sua nudità.

Un’Europa che si costruisce dal basso

La Flotilla è anche un movimento di popolo. Dai porti di Genova, Barcellona, Marsiglia, Atene, giovani, lavoratori, studenti, attivisti hanno caricato le stive di aiuti, dimostrando che l’Europa esiste davvero solo quando è solidale, civile, multiculturale. Persino i camalli del porto di Genova, dopo aver bloccato le navi cariche d’armi, hanno deciso di imbarcarsi personalmente per portare pacchi di cibo a Gaza. È l’Europa dal basso, non quella delle cancellerie: quella che si costruisce nei gesti concreti, nei porti aperti, nella fraternità che diventa resistenza.

E poi c’è Greta Thunberg, che con la sua presenza aggiunge un ulteriore significato: quello della nuova generazione che non accetta di essere spettatrice passiva. È il segno che questa non è solo una missione umanitaria, ma anche un atto culturale e politico che racconta un’Europa giovane, resiliente e disobbediente all’ingiustizia.

Di fronte a tutto questo, il governo italiano non solo tace ma definisce chi parte un “onere”. Eppure questi uomini e queste donne stanno riscattando, da soli, l’onore e la dignità di un intero Paese. Sono loro i veri patrioti: non chi brandisce slogan nazionalisti, ma chi mette il proprio corpo per difendere il diritto alla vita. La Global Sumud Flotilla è la più grande missione umanitaria di questo secolo: un atto di resistenza civile e politica, non violenta e universale. E il compito di ciascuno di noi, da terra, è sostenerla con la voce, con la presenza, con la pressione politica, con la solidarietà quotidiana.

Questa volta la differenza tra chi sta dalla parte giusta e chi no è limpida, impietosa, sotto gli occhi del mondo. E la storia, un giorno, lo scriverà.
Buon vento, Global Sumud Flotilla.