Undici anni e quattro mesi di reclusione. È la condanna richiesta dal procuratore di Pavia, Fabio Napoleone, per Massimo Adriatici, ex assessore alla Sicurezza del Comune di Voghera, imputato con l’accusa di omicidio volontario per la morte di Younes El Boussettaoui, ucciso la sera del 20 luglio 2021 in piazza Meardi. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, il colpo partito dalla pistola dell’ex assessore – arma che portava con sé perché regolarmente detenuta – esplose durante un confronto ravvicinato con il 39enne marocchino, colpendolo mortalmente al torace. Il processo si sta svolgendo con rito abbreviato, a porte chiuse, davanti al giudice Luigi Riganti.

Durante la requisitoria, il procuratore ha sostenuto che Adriatici avrebbe potuto scegliere “condotte alternative” e valutare meglio la situazione, soprattutto in considerazione del suo passato professionale da poliziotto. È un elemento che la Procura ritiene centrale per definire la natura volontaria dell’omicidio: la convinzione che l’imputato fosse pienamente consapevole del contesto in cui si trovava e avesse la possibilità concreta di evitare l’esito drammatico della colluttazione. La linea dell’accusa è stata pienamente condivisa dai legali della parte civile. L’avvocato Marco Romagnoli ha definito il caso “un evidente omicidio volontario”, aggiungendo che la richiesta della Procura “è coerente e dà conforto” alla famiglia della vittima.

Non è la prima volta che la qualificazione giuridica del fatto viene ridiscussa. Nel novembre 2024, la giudice Valentina Nevoso aveva infatti invitato la Procura a modificare il capo d’imputazione – inizialmente eccesso colposo di legittima difesa – ritenendo che il profilo dell’ex agente avrebbe dovuto portarlo a un diverso approccio operativo. La decisione aveva segnato un passaggio importante nell’impostazione dell’accusa, aprendo la strada al nuovo assetto del processo.

All’esterno dell’aula, dopo l’udienza, i familiari di Younes El Boussettaoui e i loro avvocati hanno annunciato l’intenzione di chiedere accertamenti anche su come furono condotte le indagini iniziali. Bahija, sorella della vittima, insieme agli avvocati Romagnoli e Debora Piazza, ha dichiarato che attendono la decisione del giudice per valutare eventuali iniziative riguardo all’operato della polizia giudiziaria nei primi giorni successivi all’omicidio. Una posizione già espressa nelle scorse settimane, quando gli stessi legali avevano parlato di “un’aria nuova” in Procura, facendo riferimento alla diversa impostazione investigativa adottata negli ultimi mesi.

La difesa, invece, continua a sostenere una versione diametralmente opposta. L’avvocato Luca Gastini ha ribadito davanti ai cronisti la tesi del “blackout”: secondo questa ricostruzione, Adriatici –  durante l’alterco con El Boussettaoui – avrebbe avuto un momento di totale perdita di controllo, non rendendosi conto dell’azione che stava compiendo. Il colpo, secondo questa versione, non sarebbe stato l’esito di una scelta consapevole, ma il frutto di una situazione degenerata rapidamente e senza piena lucidità da parte dell’imputato. Una lettura che la Procura contesta, ritenendo invece che l’ex assessore fosse nella condizione di comprendere e gestire il contesto.

La morte di Younes El Boussettaoui aveva provocato un forte impatto sull’opinione pubblica e sulla politica locale e nazionale, non solo per il ruolo istituzionale di Adriatici ma anche per il dibattito sulla legittima difesa e sull’uso delle armi da parte di chi ricopre incarichi pubblici. Il processo con rito abbreviato ha consentito un’accelerazione dei tempi, ma non ha ridotto il peso delle questioni giuridiche che lo attraversano: la qualificazione del dolo, la gestione dell’arma, la valutazione della condotta professionale dell’imputato e il comportamento di entrambi i protagonisti nella dinamica della colluttazione.

L’udienza del 16 dicembre sarà dedicata all’approfondimento delle posizioni difensive, mentre la sentenza è attesa per il prossimo 30 gennaio. A quel punto, il giudice Riganti dovrà valutare se la ricostruzione della Procura – articolata su consapevolezza, alternative possibili e mancata gestione del rischio – sarà sufficiente a sostenere l’imputazione di omicidio volontario, oppure se prevarrà la tesi dell’imprevedibilità e del corto circuito psicologico evocato dalla difesa.