L’ex premier parla di credibilità mancata e avverte: «Così rischiamo dieci anni di governo della destra». Nel partito la minoranza si ribella e sfiducia Bonaccini
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Paolo Gentiloni ed Elly Schlein
Un pugno nello stomaco. Paolo Gentiloni, solitamente misurato e incline al linguaggio felpato della diplomazia, questa volta ha scelto la lama affilata. Dal palco di un festival culturale a Milano, l’ex premier ha mandato un messaggio diretto alla sua segretaria: «Non siamo ancora pronti, come centrosinistra, per essere una vera alternativa di governo». Un giudizio secco, che fotografa senza giri di parole la distanza tra le aspirazioni di Elly Schlein e la realtà di un’opposizione che non riesce a costruire una prospettiva di potere credibile.
Non basta vincere le piazze, non basta galvanizzare i volontari. Per Gentiloni il problema è la sostanza: «Se non hai credibilità per poter essere un’alternativa, il rischio è che l’attuale esecutivo duri a lungo». E non si tratta, chiarisce, di agitare spettri da regime: «Non sto dicendo che arrivano la dittatura e quelli col fez. Ma una tendenza invasiva all’occupazione di spazi di potere, già evidente, prolungata per dieci anni, l’Italia farebbe bene a evitarla». Tradotto: Giorgia Meloni e la sua maggioranza sono solide, organizzate e determinate. Se l’opposizione continua a vivacchiare, la destra si radicherà al governo ben oltre le scadenze naturali.
Parole pesantissime, che arrivano mentre la segretaria è impegnata nelle Marche, a spingere la candidatura di Matteo Ricci contro il governatore uscente Francesco Acquaroli. Davanti ai militanti, Schlein prova a caricare l’ambiente: «Queste regionali si giocano su un pugno di voti. La differenza potete farla voi, chiamando tutti quelli che conoscete. C’è ancora speranza in una politica diversa». Ma mentre la segretaria parla di futuro e di sfida aperta, da Roma le dichiarazioni di Gentiloni affondano come pietre.
Come se non bastasse, nello stesso giorno esplode la resa dei conti interna. La minoranza che fa capo a Stefano Bonaccini, presidente del partito e leader sconfitto alle primarie, si riunisce per un confronto che si trasforma in processo politico. Bonaccini viene accusato di essersi piegato alla linea di Elly, di non aver difeso l’autonomia riformista, di aver lasciato il Pd scivolare in una monocromia identitaria che soffoca pluralismo e confronto.
La seduta si infiamma subito. Assenze pesanti – Guerini, Delrio, Gori, Sensi, Madia, Picierno – suonano come una sfiducia di fatto. «Siamo fuori tempo massimo», denuncia Simona Malpezzi: «Stiamo aiutando il Pd a essere espansivo e plurale? No. Galleggiamo intorno al 20%. La nostra area ha rinunciato al suo ruolo di stimolo». Sandra Zampa, di fede prodiana, è furiosa: «Intendo lasciare Energia popolare. Una minoranza non deve presidiare poltrone, ma idee. Non c’è pluralismo in questo partito, con Renzi ce n’era di più».
Bonaccini prova a resistere, ricordando che anche con due riformisti alla guida, nel 2018 e nel 2022, le batoste non erano mancate. E promette che «dopo le regionali chiederò io stesso una direzione nazionale, se non lo farà la segretaria». Ma la frattura è aperta, e l’impressione è che l’unità invocata sia ormai un miraggio.
Il quadro che emerge è desolante. Da un lato Schlein, che punta su campagne territoriali e alleanze larghe, convinta che la mobilitazione possa ribaltare i rapporti di forza. Dall’altro Gentiloni, che guarda al livello nazionale e denuncia una totale mancanza di credibilità come forza di governo. In mezzo, un partito che litiga, perde pezzi, e non riesce a trovare un equilibrio tra identità radicale e ambizione di maggioranza.
La pax che aveva tenuto insieme, per convenienza, maggioranza e minoranza nel Pd è evaporata. Energia popolare, il correntone riformista nato per bilanciare l’ascesa di Elly, implode sotto il peso delle contraddizioni. E il rischio, come avverte Gentiloni, è che mentre la sinistra si arrovella sulle sue beghe interne, la destra consolidi il suo potere a tempo indeterminato.
Il messaggio è chiaro: senza credibilità non c’è alternanza. E senza alternanza la democrazia si indebolisce. Per ora, però, dalle parti del Nazareno sembra che si preferisca litigare sul presente piuttosto che costruire il futuro.