Era il 21 settembre 1990 quando ad Agrigento la mafia stroncò la vita del giovane magistrato. Ieri è stato ricordato al Giubileo degli operatori di giustizia a piazza San Pietro
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Rosario Angelo Livatino, the judge "boy" killed in 1990 at 37 years by the Mafia
Sono trascorsi 35 anni da quel drammatico 21 settembre 1990, quando Rosario Livatino, magistrato impegnato nella lotta all'illegalità, venne ucciso dalla mafia ad Agrigento a soli 38 anni.
Alla vigilia dell'anniversario, il “giudice ragazzino” - come è stato ribattezzato - è stato ricordato sabato nel corso del Giubileo degli operatori di giustizia, a piazza San Pietro. Nel maggio 2021 Livatino è stato proclamato beato da papa Francesco.
«Per lui - ha detto monsignor Juan Ignacio Arrieta, segretario del Pontificio consiglio per i testi legislativi - la fede e il diritto erano realtà interdipendenti, tra le quali a volte c'è un confronto armonioso, a volte lacerante, ma sempre vitale e indispensabile».
Arrieta ha ricordato che Livatino siglava i documenti con l'acronimo “stD”. All'inizio non si capiva che cosa volesse intendere ma poi si scoprì che quelle tre lettere stavano per “sub tutela Dei” perché «Livatino aveva la consapevolezza di svolgere una funzione alla presenza dell'Altissimo e confidava in Lui».
In occasione del 35/esimo anniversario, è anche l'Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani, in collaborazione con la Regione Siciliana, a rendere omaggio al magistrato. L'Istituto ha infatti pubblicato il volume Rosario Livatino tra Diritto e Fede, a cura di Gaetano Armao, professore di diritto amministrativo all'Università degli Studi di Palermo, per ricordare la straordinaria figura del “giudice studente”, che visse la professione come autentica vocazione al servizio del bene comune.
Dotato di grande riservatezza, non rilasciò mai interviste né cercò visibilità mediatica e condusse indagini decisive sulla criminalità organizzata agrigentina fino al giorno del suo assassinio, a soli 38 anni, da parte di un commando mafioso sul viadotto Gasena mentre si recava, senza scorta, in tribunale.
«L'impegno professionale e la forza morale del giovane Livatino ne fecero un magistrato motivato, attratto dagli studi, integerrimo e alieno da ogni forma di protagonismo: un uomo di diritto siciliano convinto che il riscatto della propria terra passasse per il lavoro, l'onestà, il senso del dovere, la giustizia», ha dichiarato Gaetano Armao.