Il leader leghista rilancia le sue priorità: prelievo sugli extraprofitti bancari e rottamazione delle cartelle esattoriali. E sul Ponte promette: «In sette anni l’opera più ambiziosa al mondo sarà realtà»
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Matteo Salvini ha scelto il palcoscenico del forum Teha di Cernobbio per tornare all’attacco su due dei cavalli di battaglia della Lega: la pace fiscale e la tassa sugli extraprofitti delle banche. Con il consueto piglio polemico, il ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture ha spiegato che «se una piccola parte dei 46,5 miliardi di utili che derivano da garanzie statali ritornerà nel circuito di famiglie e imprese, penso che le stesse banche non potranno che esserne orgogliose».
Il ragionamento è lineare e, a suo modo, populista: il settore bancario, che negli ultimi anni ha registrato utili record anche grazie a meccanismi di tutela e sostegno pubblico, non può sottrarsi all’obbligo morale di restituire almeno una parte di quelle ricchezze al tessuto produttivo e alle famiglie italiane. «Non possiamo costringere gli istituti a erogare credito – ha chiarito Salvini – ma ricordiamo che rappresentano un modo di fare impresa molto tutelato». Un messaggio che risuona come un avvertimento: se le banche continueranno a macinare miliardi senza redistribuire nulla, la politica potrebbe bussare alla porta con il conto.
Le parole del leader leghista hanno trovato immediata sponda nel suo elettorato, che da anni chiede più rigore verso gli istituti finanziari, ma hanno acceso una scintilla tra gli alleati di governo. In particolare, Forza Italia non ha gradito: Antonio Tajani ha fatto capire che una tassa del genere rischierebbe di essere interpretata come un attacco frontale a quel mondo bancario e imprenditoriale storicamente vicino all’area berlusconiana. La frattura è evidente: da un lato la Lega che cavalca il malcontento diffuso verso le banche, dall’altro un partito che teme di incrinare rapporti consolidati.
Lo scontro interno alla maggioranza, però, non sembra preoccupare Salvini. Il ministro appare anzi determinato a incassare un altro risultato simbolico: la rottamazione delle cartelle esattoriali. Una misura che, nelle sue parole, sarà «una boccata d’ossigeno per l’economia». Il linguaggio scelto è quello della concretezza: meno tasse arretrate da pagare significa più risorse da immettere nel circuito dei consumi. «Parliamo di 20 milioni di cartelle che gravano sulle famiglie e sulle imprese italiane. Stanno aumentando le entrate fiscali e diminuendo gli interessi sul debito: vogliamo continuare a essere responsabili, ma per la Lega la pace fiscale è una priorità», ha ribadito.
La proposta non è nuova, anzi: negli ultimi dieci anni si sono susseguite ben sette rottamazioni di cartelle, con risultati alterni. Questa volta, sostiene Salvini, il contesto è diverso: le entrate fiscali sono cresciute, gli interessi sul debito pubblico si sono alleggeriti e ci sarebbe dunque margine per un intervento di alleggerimento fiscale. Resta però la questione più spinosa: le coperture. Quanto costerà allo Stato cancellare milioni di cartelle? E soprattutto, dove si troveranno le risorse senza far deragliare i conti pubblici?
Su questo punto il vicepremier ha provato a rassicurare, citando la sintonia con il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti: «Non vogliamo fare il passo più lungo della gamba. Stiamo valutando gli importi per una rottamazione che sarà calibrata, ma comunque in grado di dare respiro al Paese». Un equilibrio complicato, perché da un lato Salvini deve mostrare fermezza con le promesse elettorali, dall’altro il Tesoro e l’Europa chiedono prudenza e rigore.
Ma il forum di Cernobbio non è stato solo l’occasione per parlare di tasse e banche. Salvini ha colto il momento per rilanciare uno dei dossier più identitari della Lega: il Ponte sullo Stretto di Messina. Con tono solenne, il ministro ha dichiarato: «Questa è la settimana in cui il progetto passerà da Palazzo Chigi alla Corte dei Conti. Dopo la decisione, si darà il via agli espropri e all’apertura dei cantieri. In sette anni di lavoro avremo una delle opere infrastrutturali più ambiziose al mondo».
Il Ponte, per Salvini, non è solo un’infrastruttura: è un simbolo di modernità e di riscatto, soprattutto per il Sud. «Non sarà un servizio solo per siciliani e calabresi, ma per tutti gli italiani», ha spiegato, immaginando lo scenario di un Paese più connesso e competitivo. E per rendere la promessa più tangibile, ha snocciolato i vantaggi: «Va tutto liscio. Non vedo ostacoli, neppure dall’interpretazione della Nato. Con il ponte si inquinerà di meno: oggi un treno merci ci mette tre ore, con il ponte ne basteranno quindici minuti. Calcolate il risparmio ambientale, il tempo guadagnato e le opportunità per agricoltura e turismo».
Le immagini evocate dal ministro hanno un sapore epico: un’opera che unisce due regioni storicamente isolate, un volano per l’economia, una sfida ingegneristica da record mondiale. Eppure, anche qui, il nodo è lo stesso: le coperture. L’opera richiederà miliardi di euro e non tutti, dentro la maggioranza, sono convinti che sia la priorità assoluta in un momento in cui le famiglie faticano a pagare mutui e bollette.
In platea, a Cernobbio, gli applausi sono arrivati ma anche i dubbi. Gli imprenditori hanno apprezzato l’idea di alleggerire la pressione fiscale, ma chiedono chiarezza su chi pagherà il conto. I banchieri hanno ascoltato in silenzio le invettive sugli extraprofitti, consapevoli che una tassa punitiva rischierebbe di scatenare nuove tensioni con i mercati. Gli alleati di governo, intanto, hanno preso appunti: la prossima legge di bilancio sarà un terreno minato, e la “pace fiscale” di Salvini rischia di trasformarsi in una nuova guerra politica.
Alla fine, la linea del leader leghista è rimasta quella di sempre: meno tasse per cittadini e imprese, più contributo dalle banche, grandi opere come simbolo del rilancio nazionale. Uno schema semplice, che però si scontra con la complessità della realtà economica e politica. Il rischio, per Salvini, è che la promessa di “ossigeno” si trasformi in una boccata d’aria troppo breve, se non arriveranno risorse certe e se la maggioranza continuerà a dividersi.
Per ora, il ministro incassa la visibilità e rilancia le sue parole d’ordine, nella speranza che diventino misure concrete. Ma la strada che porta dalla retorica di Cernobbio alla legge di bilancio di Roma resta tutta in salita.