I tempi lunghi per una visita e difficoltà economiche spingono quasi il 10% degli italiani a rinunciare alle cure. Il sistema pubblico copre solo il 74% della spesa sanitaria, contro il 77% della media europea. Intanto cresce il peso del privato e tornano a galla gli squilibri tra Nord e Sud
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Un cittadino su dieci ha rinunciato nel 2024 a curarsi. È la fotografia allarmante scattata dal Cnel nella relazione annuale sui servizi pubblici presentata oggi a Roma dal presidente Renato Brunetta, con la Ragioniera generale dello Stato Daria Perrotta e il ministro della Pubblica Amministrazione Paolo Zangrillo.
Secondo i dati, quasi il 10% dei residenti ha dovuto rinunciare a visite o esami specialistici, un valore in aumento di 2,4 punti percentuali rispetto al 2023 e di 3,6 punti rispetto al periodo pre-pandemico. Le cause principali sono due: le liste d’attesa infinite e l’impossibilità economica di sostenere i costi.
Il 6,8% degli italiani ha rinunciato per tempi troppo lunghi, mentre il 5,3% non ha potuto pagare le prestazioni. A crescere è anche la spesa a carico diretto dei cittadini: il 23,9% ha pagato di tasca propria l’intero costo dell’ultima prestazione specialistica, senza rimborsi da assicurazioni o fondi integrativi. Un dato in aumento di quattro punti in un solo anno.
Il quadro conferma una tendenza che da tempo preoccupa economisti e associazioni: la progressiva privatizzazione della salute. Gli italiani, di fronte a un sistema sanitario pubblico sempre più in affanno, si rivolgono al privato spendendo 42,6 miliardi di euro l’anno, pari a un quarto della spesa sanitaria nazionale complessiva. È un fenomeno in crescita costante “da molti anni e in particolare dal 2015”, sottolinea il rapporto.
Nel frattempo, il fabbisogno sanitario nazionale è aumentato di 24 miliardi nell’ultimo decennio, con una crescita media annua del 2% in termini nominali, ma solo dello 0,2% in termini reali: una cifra che non tiene il passo con l’inflazione né con l’invecchiamento della popolazione.
Nel 2023, la quota di spesa sanitaria pubblica in Italia si è fermata al 74%, contro una media europea del 77,3%. Significa che una parte sempre più ampia delle cure grava direttamente sulle famiglie, riducendo l’accessibilità del sistema sanitario nazionale e accentuando le disuguaglianze territoriali e sociali.
In molte aree del Paese, soprattutto nel Mezzogiorno, la combinazione di povertà diffusa e carente offerta di servizi sanitari produce un effetto domino. Chi vive nelle regioni del Sud rinuncia più spesso alle cure rispetto a chi risiede al Nord, dove la rete ospedaliera e i centri specialistici sono più capillari. Ma anche le grandi città del Centro-Nord, un tempo considerate più protette, iniziano a mostrare crepe significative: i tempi di attesa per esami diagnostici e visite specialistiche si sono allungati in media del 20% negli ultimi due anni.
Dietro la crescita della spesa privata si nasconde un cambiamento più profondo: la sanità a due velocità. Chi può permetterselo accelera, pagando per accedere in tempi brevi a prestazioni di qualità; chi non può, resta bloccato nelle lunghe liste d’attesa o rinuncia del tutto. Secondo il Cnel, “questo andamento rischia di compromettere uno dei principi fondamentali del nostro sistema sanitario, quello dell’universalità”.
Eppure, nello stesso documento, non mancano segnali positivi: migliora il ciclo dell’economia circolare, cresce la raccolta differenziata (arrivata al 66,6% nel 2023, +1,4 punti rispetto al 2022), aumentano i laureati e i green jobs, mentre cala la dispersione scolastica sotto il 10%. Tuttavia, il tasso di occupazione dei laureati italiani resta fermo al 74%, ben sotto la media UE dell’82%.
Anche nei servizi pubblici locali le disuguaglianze territoriali restano profonde. In particolare, i servizi di raccolta dei rifiuti sono spesso più costosi e meno efficienti al Sud, mentre nel Nord e nel Centro la qualità media resta più alta. Lo stesso vale per asili nido e servizi sociali comunali, ancora troppo disomogenei sul territorio nazionale.
Nella relazione, il presidente Brunetta ha sottolineato che «la pubblica amministrazione italiana ha compiuto passi avanti significativi, ma i divari territoriali e la ridotta efficacia della spesa pubblica restano nodi centrali». Il ministro Zangrillo, dal canto suo, ha ribadito l’impegno del governo a «rafforzare l’efficienza del sistema sanitario nazionale e la capacità di risposta ai bisogni dei cittadini», anche attraverso nuove assunzioni e digitalizzazione dei servizi.
Ma per ora, i numeri raccontano un’altra realtà: il diritto alla salute in Italia non è più garantito a tutti allo stesso modo. E se la sanità pubblica continua a perdere terreno, saranno sempre di più coloro che, tra tempi, costi e disuguaglianze, sceglieranno di curarsi solo quando potranno permetterselo.