A 24 anni Jannik Sinner domina il tennis mondiale ma divide ancora. Troppo serio, troppo corretto, troppo vero per un Paese che assolve i furbi e diffida dei vincenti. La sua grandezza svela le nostre debolezze
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Dubreuil Corinne/ABACA
Jannik Sinner è il campione che l’Italia non ha mai saputo amare. Vince troppo, è troppo pulito, troppo educato per un Paese che spesso preferisce gli eroi imperfetti ai talenti veri, trasparenti.
Forse Ennio Flaiano esagerava, ma non troppo, quando scriveva: “L’italiano è infido, bugiardo, vile, traditore […] coerente solo nel cambiar bandiera a ogni vento.” In fondo, il ritratto è quello di un Paese che fatica a convivere con la linearità, con la coerenza. Un paese che non ama il merito, che vive quotidianamente in doppia fila, che ama corrompere e farsi corrompere.
A 24 anni Sinner chiude una stagione straordinaria, raggiunge i 24 titoli in carriera e lo fa dopo aver superato una sospensione per doping rivelatasi infondata: una macchia ingiusta che avrebbe spezzato molti. Lui no. È tornato più forte, più concentrato, più determinato.
La sua normalità è quasi imbarazzante per un Paese che troppo spesso assolve l’evasore, tollera il furbo, convive col mafioso, si lascia incantare da chi lo inganna. Come poteva amare un ragazzo così ordinato e rispettoso? Niente scandali, niente urla, niente capricci. E infatti Sinner spiazza: mette a disagio l’Italia che diffida dei vincenti. Non sorprende che Bruno Vespa, dopo averlo rimproverato, cerchi ora di risalire sul carro del campione: è l’immagine plastica di un’onda che cambia direzione a convenienza.
Sinner resta un punto fermo in un Paese che cambia umore a ogni set: preciso, sincero, sorridente e feroce solo quando serve, in campo. È il ritratto del vincitore che l’Italia fatica ad accettare, ma che, prima o poi, dovrà imparare ad amare, forse smettendo di ingannare se stessa.
E qui punge tanto Giuseppe Prezzolini: “L’italiano è un popolo che si fa guidare da imbecilli i quali hanno la fama di essere machiavellici, riuscendo così ad aggiungere al danno la beffa.”
Una descrizione amara, certo, ma che rende ancora più chiara la grandezza silenziosa di Jannik Sinner.


