Sei minuti. Tanto è mancato a un volo Ryanair partito da Pisa e diretto a Glasgow Prestwick per trasformarsi in una tragedia. A bordo, 180 passeggeri ignari che il carburante stava finendo. Il comandante ha emesso un “fuel Mayday”, il segnale internazionale che indica un’emergenza per carenza di carburante, e ha virato verso Manchester, dove è riuscito ad atterrare appena in tempo.

L’episodio, rivelato dal Daily Mail, è avvenuto lo scorso 3 ottobre, nel pieno della tempesta Amy, che ha flagellato il Regno Unito con venti fino a 160 chilometri orari, pioggia torrenziale e decine di voli dirottati o cancellati. Ma nessuno era finito così vicino al punto di non ritorno.

L’aereo, un Boeing 737-800 operato da Malta Air per conto di Ryanair, aveva già tentato due volte di scendere in Scozia: prima a Prestwick, poi a Edimburgo. Entrambe le manovre sono state interrotte all’ultimo momento per le raffiche laterali che impedivano l’allineamento alla pista. Il carburante, nel frattempo, scendeva pericolosamente sotto la soglia minima. Quando anche Edimburgo è risultata inavvicinabile, il comandante ha scelto di dirottare verso Manchester, a quasi 300 chilometri di distanza.

Al momento dell’atterraggio, nei serbatoi restavano 220 chilogrammi di carburante, equivalenti a cinque o sei minuti di autonomia. Un margine irrisorio: per legge, un Boeing di quella categoria deve disporre di almeno mezz’ora di riserva dopo l’atterraggio. «Eravamo a un soffio dalla fine», ha raccontato un ispettore britannico citato dal tabloid.

A bordo, la tensione è salita rapidamente. “Il primo tentativo di atterraggio è stato interrotto quasi subito, il secondo ci ha portati a pochi metri dal suolo. Poi il pilota ha tirato su con un’accelerazione violenta e ci siamo resi conto che qualcosa non andava”, racconta Alexander Marchi, un passeggero italiano che vive in Scozia. «Quando siamo toccati a Manchester, la gente piangeva. Alcuni applaudivano, ma più per lo spavento che per il sollievo».

Il volo era partito da Pisa già con un’ora di ritardo, complice lo sciopero improvviso dei lavoratori del trasporto aereo e una protesta pro-Palestina che aveva paralizzato parte dell’aeroporto. L’attesa a terra aveva costretto il comandante a ricalcolare i consumi, ma la tempesta in arrivo ha stravolto tutto.

Secondo la prima ricostruzione, la decisione di tentare due atterraggi consecutivi in condizioni proibitive avrebbe inciso sulla quantità residua di carburante. Ma Ryanair respinge le accuse di imprudenza: «L’equipaggio ha seguito le procedure standard e l’aereo è atterrato in sicurezza. L’evento è stato regolarmente segnalato alle autorità britanniche», ha dichiarato un portavoce della compagnia.

La CAA (Civil Aviation Authority) ha aperto un’inchiesta per accertare se il volo abbia effettivamente violato le soglie di sicurezza e se siano state adottate tutte le misure previste. «Un ‘fuel Mayday’ è una dichiarazione estrema, che può essere emessa solo quando non ci sono alternative operative. La priorità assoluta è sempre la sicurezza dei passeggeri», ha spiegato un portavoce dell’ente.

Il caso, però, apre interrogativi più ampi: voli low cost sempre più ravvicinati, equipaggi sottoposti a turni massacranti e gestione dei consumi ridotta al millilitro. “Le compagnie ottimizzano i costi, ma quando la tempesta arriva, non sempre la matematica salva le vite”, osserva un ex pilota civile interpellato dal Times.

Per i passeggeri del volo Pisa–Glasgow, è stata una notte che non dimenticheranno facilmente. Sei minuti in più di tempesta, e forse oggi si parlerebbe di un disastro aereo. «Il pilota è stato eccezionale – dice ancora Marchi – ma l’idea che fossimo quasi senza carburante fa venire i brividi. Quando il comandante ha detto ‘Mayday’, ho capito che non era un’esercitazione. Era la realtà».

Un atterraggio perfetto, a sei minuti dalla catastrofe.