Via libera nel Regno Unito, mentre da noi la proposta c’è da tempo ma è ferma. Secondo la sondaggista Alessandra Ghisleri se davvero si aprissero le urne anche ai minorenni, non ci sarebbe alcuna rivoluzione
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Cosa accadrebbe se domani in Italia si decidesse di abbassare l’età per votare a 16 anni, proprio come ha annunciato il nuovo governo britannico di Keir Starmer? Secondo Alessandra Ghisleri, una delle più note sondaggiste italiane, non si aprirebbe alcuna rivoluzione. «In Italia verrebbero coinvolti circa 1,6 milioni di giovani tra i 16 e i 18 anni», spiega. «Una cifra analoga a quella della Gran Bretagna, dove i nuovi elettori sono circa 1,5 milioni».
Un numero importante, ma non abbastanza per ribaltare gli equilibri. «Secondo tutti i sondaggi, dal 2019 ad oggi, a beneficiarne sarebbero i partiti che già registrano una buona tendenza di crescita: Fratelli d’Italia, Movimento 5 Stelle, Partito Democratico, Lega, Alleanza Verdi-Sinistra, e anche alcune forze più centriste». Nessuna ondata di giovanilismo ribelle, insomma, né nuovi movimenti “contro il sistema”. Al contrario, i giovanissimi finirebbero per appoggiare i partiti già consolidati, magari attratti più dai volti social dei loro leader che dai programmi.
E proprio i social, dice Ghisleri, avrebbero un ruolo centrale. «Bisognerebbe capire come questi ragazzi consumano informazione. Oggi sono i social e il web a dominare. Ma a fare la differenza potrebbero essere le figure di riferimento: influencer, cantanti, creator. La loro capacità di orientare l’opinione è altissima in quella fascia d’età». La politica, insomma, dovrebbe abituarsi a parlare il linguaggio dei like, dei reel e degli hashtag se vuole intercettare davvero i sedicenni.
Ma sono pronti i nostri giovani a mettere mano alla scheda elettorale? «Sono preparati ad accedere agli studi e al mondo del lavoro, quindi potenzialmente anche a un voto consapevole. Certo, noi adulti votiamo con l’esperienza della vita, loro dovrebbero farlo con il supporto di una buona educazione civica. L’obiettivo dovrebbe essere introdurre moduli specifici nelle scuole superiori: partecipazione, istituzioni pubbliche, funzionamento dello Stato. Perché si può imparare anche dai libri, non solo dal campo».
La proposta, del resto, circola anche in Italia da tempo. Ma prima di immaginare 16enni alle urne, bisognerebbe cambiare l’articolo 48 della Costituzione. «E servirebbe una sperimentazione d’impatto. Non possiamo pensare di abbassare l’età del voto senza una riforma del sistema scolastico. Dev’essere un investimento consapevole».
Il timore più frequente, quello dell’influenza esterna, secondo Ghisleri è mal posto. «Si dice spesso che i ragazzi sono facilmente influenzabili. Ma lo sono anche gli adulti. Le dinamiche della persuasione non cambiano: cambiano i mezzi. Un tempo era la televisione, oggi è TikTok. La politica deve capire e governare queste dinamiche, non temerle».
E allora, in fondo, sarebbe una buona idea? «Con la giusta preparazione, sì. Dare ai giovani la possibilità di votare sarebbe una modalità nuova, e più contemporanea, di investire nel futuro. Li metterebbe di fronte alla responsabilità di scegliere, di pensare in modo autonomo. E magari, anche di costruire una nuova fiducia nel sistema democratico».
Ma non aspettiamoci rivoluzioni. «La verità - conclude Ghisleri – è che i giovani, come gli adulti, votano chi comunica meglio. E chi già ha radicamento, ne avrebbe ancora di più».