In Aspromonte, il cibo non è mai solo nutrimento. È memoria, identità, gesto quotidiano che si fa pensiero. Alla radice dell’iniziativa “Gente in Aspromonte”, che si tiene il 23 e 24 agosto al Rifugio Carrà di Africo, c’è una visione che supera l’idea del raduno culturale e si fa progetto di vita condiviso: abitare i luoghi attraverso ciò che mangiamo, coltiviamo, condividiamo.

La tavola rotonda che apre l’edizione 2025 – intitolata “La cultura abita il cibo” e coordinata da Angela Sposato – mette al centro il pane, il vino, il gelato, la scirubetta. Ma non è un elogio nostalgico delle tradizioni. È un ragionamento lucido e attuale su come il cibo possa diventare uno strumento di ripopolamento, coesione sociale e rigenerazione dei territori interni.

Pane, olio, vino e scirubetta: il sapore della terra che resiste

A raccontarlo saranno voci simboliche del nuovo agroaspromontano: Laura Multari, con il pane Jermanu, frutto di un grano che “scende da Oriente” lungo le montagne, per fare scuro il pane come una volta, come una promessa di ritorno. Domenico Rinaldis, con i suoi vini “Nasciri”, che in dialetto significa nascita, rigenerazione. Ogni bottiglia è un atto d’amore verso la natura e una dichiarazione di futuro. Francesco Macrì, interprete di un olio geracese che “vela, svela e rivela” sapori e saperi dell’entroterra calabrese. E poi Antonio Ruggia, con la granita del Bar Ettore, figlio dei “nevieri” aspromontani, testimone vivente della scirubetta, il sorbetto arabo che ha trovato casa nella Locride. Non si tratta solo di eccellenze enogastronomiche. Sono forme di resistenza, di cura dei territori, di opposizione dolce e concreta all’omologazione culturale e al disimpegno civile.

Cibo come relazione, il vero impatto sociale

“Gente in Aspromonte” rilancia un messaggio chiaro: il cibo non è solo piacere, ma relazione, rito, identità, politica. Ogni gesto agricolo, ogni trasformazione alimentare, ogni pasto condiviso sotto le querce è una forma di abitare. Non nel senso edilizio, ma esistenziale e collettivo. Abitare è radicarsi, prendersi cura, costruire legami. Lo dice con forza anche Michelangelo D’Ambrosio, presidente regionale di Slow Food Calabria, partner di un evento che è molto più di un incontro culturale: «Quando scegliamo un pane come il Jermanu, o un olio come quello geracese, stiamo scegliendo un modello di mondo. Stiamo dicendo che vogliamo vivere diversamente: con lentezza, sostenibilità, bellezza. È politica, ecologia, cultura». In questo contesto, l’abitare diventa verbo politico e poetico. È abitare le pietre, i sentieri, le memorie. È vivere il margine come centro possibile di un’alternativa, dove il cibo diventa la chiave per ricucire comunità, generare lavoro dignitoso, restituire valore alla terra.

L’omaggio a Strati e “la camminata" con Manuel Grillo

Il 23 pomeriggio, nell'ambito delle iniziative per il centenario dalla nascita di Saverio Strati, si terrà l’incontro “Di padre in figlio, scritture d’Aspromonte. Discorsi letterari” con Gioacchino Criaco, Saverio Gangemi, Vincenzo Reale, Domenico Stranieri e Luigi Franco. «Ci faremo prestare le parole - scrive Criaco - da chi ha saputo dirle meglio e prima di noi, e altre cercheremo di pronunciarle, tirate fuori da lunghi e meditati silenzi. A dire che abitare il luogo che ci ha generato è il modo, forse il primo e fondamentale, per ritrovare se stessi». Il 24 mattina, infine, si andrà a piedi ad Africo Vecchio, in compagnia dei passi de “Il Canto del Mondo” di Jean Giono, con l’editore di Settecolori, Manuel Grillo che dialogherà con Gioachino Criaco.