Sulla Costa Viola è rimasto il profumo del vino. E quella luce di ottobre che ad Altafiumara non tramonta mai davvero, ma si stende lenta sul mare, come se anche il cielo volesse restare un po’ di più. Il Calabria Wine Expo si è chiuso così: tra gli ultimi calici, gli abbracci, le parole dette piano da chi sa di aver scritto una pagina nuova. Per un giorno, la Calabria del vino è diventata racconto, identità, futuro.

C’era la folla delle grandi occasioni, arrivata presto e rimasta fino all’ultimo brindisi. I corridoi dell’Enoteca Culturale, i saloni del Polo, le terrazze affacciate sullo Stretto: tutto aveva la temperatura giusta, quella dei giorni che si ricordano. Vignaioli e vignaiole, chef, studenti, operatori, curiosi: ognuno ha portato un pezzo di storia, un accento, una domanda. Sullo sfondo, la convinzione che la cultura non sia un orpello scenografico, ma un modo concreto di abitare un territorio. Antonio Battaglia, chef e socio fondatore del Polo Culturale Altafiumara, si muoveva tra i banchi come chi tiene insieme un’orchestra. Ha parlato poco, con il tono fermo di chi vede una traiettoria e la segue: «È un sogno diventato realtà. L’Enoteca è nata per arrivare fin qui: divulgare il vino calabrese, far crescere consapevolezza, creare desiderio. La risposta è andata oltre le aspettative».

Il ritmo della giornata si è acceso già dalle 11.30, quando le porte si sono aperte sulla mostra multisensoriale «L’essenza del tempo». Curata da Vittorio Porpiglia e dall’associazione Calabria Wild Wine, ha raccolto 61 bottiglie storiche in grado di attraversare mezzo secolo di viticoltura calabrese. Etichette sopravvissute, cantine scomparse, prime annate che profumano di carta, cantine di paese, colline con il vento addosso. Porpiglia si è fermato accanto a una bottiglia arrivata da Campo Calabro, quasi a carezzarla: «Abbiamo dato voce a chi ha seminato quando i riflettori guardavano altrove. Qui dentro c’è una memoria che chiede futuro». Il percorso, pensato come immersione, ha fatto toccare i suoli, annusare i profumi varietali, assaggiare mosti. Un museo temporaneo del gusto, vivo e dialogante, capace di tenere insieme studio e stupore.

Dalla sala è arrivata, poco dopo, la sindaca di Villa San Giovanni, Giusy Caminiti. Nessun protocollo rigido, solo la naturalezza di chi parla a casa propria. Ha evocato la viticoltura eroica della Costa Viola e quella parentela antica tra i filari e il mare. Ha sorriso raccontando dei secondi nomi dei figli, presi in prestito dai vitigni. Ha chiuso con una promessa sobria: il territorio è pronto a fare la sua parte, perché turismo e identità camminano insieme solo quando la comunità se ne assume il peso. Applausi puliti, senza forzature.

La Calabria brinda a sé stessa e guarda al mondo: successo per la prima “Wine Expo” targata Altafiumara

Poi sono arrivate le voci della FIVI. Rita Babini, presidente nazionale, ha chiesto di farsi chiamare «vignaiola» e ha sciolto l’emozione ricordando che la vigna è mestiere totalizzante: braccia, pensiero, attesa. Raffaella Ciardullo, delegata FIVI Calabria, ha ringraziato i colleghi uno per uno, quasi a ridisegnare la mappa di una comunità. Ha nominato chi ha aperto strade, chi ha custodito pratiche antiche, chi ha resistito quando la regione sembrava parlare a bassa voce. La sala l’ha seguita, senza perdere una sillaba.

Nel mezzo della mattinata, un gesto ha dato corpo a ciò che di solito resta nell’aria. La società editoriale Diemmecom, per volontà dell’editore Domenico Maduli, ha conferito un riconoscimento al Polo Culturale Altafiumara nella persona dello chef Antonio Battaglia. A consegnarlo è stata la vicedirettrice de ilReggino.it, Elisa Barresi, con parole semplici e nette: il racconto di una Calabria migliore passa dall’informazione e passa, allo stesso tempo, da chi ogni giorno la rende possibile con il lavoro. I presenti hanno capito il senso senza bisogno di spiegazioni. In quell’abbraccio tra media e impresa culturale c’era un’idea di filiera: il vino come contenuto editoriale, il territorio come responsabilità condivisa.

Il tempo dell’esperienza è continuato in cucina. Lo show cooking di Battaglia ha ripreso il tema che ha innervato la prima stagione dell’Enoteca: abbinare a partire dal vino, far girare la bussola, costruire il piatto intorno al calice. Una scelta di metodo, prima ancora che di gusto. I relatori hanno scelto etichette, terroir, altitudini; la cucina ha risposto con grammatiche nuove. Il pubblico ha seguito con attenzione, qualcuno ha preso appunti, qualcuno ha fotografato le mani che impiattavano. Poi il buffet domenicale, largo, luminoso, di quelli che sciolgono le distanze e fanno parlare anche i timidi.

Il pomeriggio ha cambiato passo. Christian Zuin ha tenuto il filo con un tono da narratore più che da moderatore. Ha ricordato che i vini di Calabria pesano lo 0,7% della produzione nazionale e che proprio in quella misura apparentemente minuta si nasconde un privilegio: bere, raccontare, portare nel mondo una diversità che rimane, finalmente, riconoscibile. Sul palco, intanto, si preparavano i talk con studiosi e giornalisti, attesi come momenti di confronto e non come passerelle. A dare il suo contributo anche l’Assessore Regionale all’Agricoltura Gianluca Gallo. Si è parlato di genetica della vite con il professore Sunseri dell’Università Mediterranea, di biodiversità come risorsa strategica, di comunicazione come ponte tra vigne e tavole. Le argomentazioni tecniche hanno tenuto il passo dell’interesse del pubblico, segno che la formazione, qui, non è un’aggiunta, ma il respiro naturale di una comunità che vuole crescere.

La musica ha fatto il resto. Fabio Macagnino & Movimento Terra hanno impastato folk mediterraneo e poesia, portando sulla terrazza il suono delle pietre calde e del vento salato. Qualcuno ha ballato con discrezione, qualcuno ha chiuso gli occhi, qualcuno ha alzato il cellulare solo per fermare un frammento di luce. Prima ancora, la comicità aveva sciolto i muscoli del pubblico. Pasquale Caprì con i suoi fantastici personaggi reggini, e Loris “Lunanzio” Fabiani hanno trasformato le battute in una piccola antologia di umanità calabrese: il dialetto come carezza, il quotidiano come scena, il vino come pretesto per ridere insieme.

Dietro le quinte, Daniela Surace, responsabile comunicazione del Polo, teneva il tempo di tutto. «Mesi di lavoro, un impegno a testa bassa, tante energie al servizio di una prima edizione che chiede già continuità» ha detto con la stanchezza buona di chi ha retto il timone. Intorno, i numeri scorrevano in silenzio nella memoria: oltre diecimila ettari vitati, una produzione che sfiora i 368 mila ettolitri l’anno, cantine triplicate nell’ultimo decennio, presenza in più di quaranta Paesi. Dati che valgono solo quando si trasformano in reputazione, opportunità, lavoro qualificato. Qui il tentativo è esattamente questo: convertire qualità in destino, identità in economia.

L’Expo ha rivelato anche una trama meno visibile eppure decisiva: il modo in cui Altafiumara ha scelto di posizionarsi. Il resort non si limita a ospitare; produce contenuti, costruisce formati, sperimenta linguaggi. Il Polo Culturale agisce come un regista territoriale, mette in rete istituzioni, media, impresa, formazione. L’Enoteca Culturale è diventata aula, palcoscenico, laboratorio, vigna didattica; un luogo dove il vino si studia e si racconta senza perdere il gusto dell’incontro. In questa grammatica il Calabria Wine Expo trova la sua coerenza: non fiera, non salotto, piuttosto un ecosistema che tiene insieme divulgazione, spettacolo, ricerca, mercato.

A fine giornata, Antonio Battaglia è tornato sul terrazzo da cui il mare sembra una pellicola che scorre. «Ci siamo detti una cosa semplice: cultura e risorse sono il nostro vero capitale. La Calabria non inseguirà mai modelli industriali altrui. Ha invece una biodiversità immensa, una genuinità che chiede riconoscimento. Il Polo serve a questo: trasformare cultura in valore economico, allargare l’orizzonte, far sì che chi arriva qui torni a casa con una storia nuova da raccontare». Era già buio, ma la frase restava accesa.

Intorno, i vignaioli salutavano con quella compostezza che solo i mestieri seri sanno conservare. Rita Babini aveva ancora in mano il calice, Raffaella Ciardullo stringeva tra le dita la gratitudine per un lavoro corale, Vittorio Porpiglia parlava piano con alcuni ragazzi davanti a una bottiglia dal tappo stanco. Zuin riponeva gli appunti, Daniela Surace incrociava gli sguardi dello staff. Giusy Caminiti usciva accompagnata da un gruppo di giovani che la volevano ancora ascoltare. Piccoli segni, dettagli veri, che raccontano più delle dichiarazioni.

Il Calabria Wine Expo lascia dietro di sé una scia di possibilità. Altafiumara ha dimostrato che la Costa Viola può diventare una piattaforma stabile del vino di Calabria, una casa ospitale per chi produce e per chi studia, per chi comunica e per chi viaggia. È la prova che i territori crescono quando trovano parole nuove per dirsi e quando scelgono di farlo insieme. Qui, per una volta, il futuro non è una formula da brochure: ha il sapore di un rosso che respira, l’acidità luminosa di un bianco di costa, la salinità di un vento che arriva puntuale.

Quando la musica si è zittita e le luci hanno cominciato a ritirarsi, qualcosa è rimasto sospeso sull’acqua. Forse il suono secco dei tappi, forse una frase raccolta in corridoio, forse quella promessa quieta che attraversa i giorni belli. «Innamoriamoci del vino calabrese». Qui l’hanno presa sul serio, senza proclami. È diventata gesto, lavoro, rete. Altafiumara l’ha detta in lingua madre e l’ha consegnata a chi c’era, perché la riporti altrove, sulle tavole, nelle cucine, nelle carte dei ristoranti, nelle storie da raccontare. La Calabria del vino, stasera, ha un volto più nitido. E un respiro più lungo.