Il pericolo non è la destra reazionaria ma il modo in cui le élite si coalizzano per dividersi le risorse e sottrarle al popolo con la scusa di unirsi contro un pericolo incombente. Succede con AfD in Germania che, intanto, guadagna consenso...
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La democrazia non cadrà sotto i colpi delle destre reazionarie, né tanto meno può essere sfiorata dalle continue invenzioni, mai dimostrate, sulle ingerenze russe nelle elezioni straniere, né potrà essere messa in crisi dalla sovranità del popolo. Il vero nemico della sua esistenza stessa si annida, piuttosto, nelle forme surrettizie e annacquate (grandi coalizioni, governi tecnici ed altre storie del terrore) con cui le élite politiche ed economiche si coalizzano per dividersi le risorse e sottrarle al popolo, neutralizzando così il conflitto democratico, svuotando di senso la volontà popolare e facendo perdere valore anche alla partecipazione politica.
La partecipazione alle urne è, infatti, sempre più in caduta anche per le barriere che questo tipo di soluzione ha messo tra i cittadini ed i centri del potere. Fino a un preciso momento storico, identificabile con la fine degli anni 90 del secolo scorso, la contrapposizione tra centrodestra e centrosinistra rappresentava, seppur in modo imperfetto, una polarizzazione ideologica riconoscibile, polarizzazione capace di assicurare una dialettica politica che consentiva all’elettore di scegliere, identificandosi in un progetto, tra modelli di società diversi. Ma con l’affermarsi della logica, sempre più ricorrente, di forme più o meno ibride di sospensione democratica, ovvero le grandi coalizioni, o i governi tecnici e di responsabilità, forme spesso presentate come necessarie per garantire la stabilità o l’interesse nazionale, si è consumato un progressivo esautoramento del sistema democratico e la quasi definitiva mortificazione della sovranità popolare. Inoltre non bisogna mai dimenticare che il prezzo delle grandi coalizioni e di modelli simili post-politici e semi-autoritari, naturalmente, lo hanno sempre pagato i ceti meno benestanti, massacrati dagli alfieri del mercato che traggono, da una mai dimostrabile superiorità morale, la giustificazione per snaturare lo Stato. È grazie alle scelte, marcatamente neo liberiste, del dominio post democratico che si è sempre più poveri, si è sempre più impossibilitati nei movimenti, si è sempre più repressi nella propria dignità.
Le parole sono importanti, motivo per cui nel nome anestetizzante della responsabilità, o nel nome di imprecisate riforme, si sono appiattite le differenze, si sono neutralizzate le idee innovative, fino a vaporizzare il dissenso, rendendo il voto un esercizio rituale più che una reale espressione di scelta. La democrazia perde di senso sotto il martello delle riforme che, solitamente, sottrae denaro a scuola e sanità pubblica per veicolarlo nelle tasche dei gruppi finanziari ed interessi privati.
Lontani anni luce dalle esigenze dei cittadini comuni e delle famiglie, i cosiddetti “governi tecnici” si pongono in zone grigie in cui, in quella che Agamben chiama emergenza permanente, tutto è lecito ed in cui le loro misure diventano insindacabili, ponendosi al di sopra della legge stessa. Ma è proprio questo accordarsi, questo unirsi contro un pericolo incombente, che snatura il senso stesso della lotta politica ed allontana il popolo dalla rappresentanza, aprendo le porte a soluzioni come quella adottata nel recente voto di fiducia in Germania al cancelliere Merz.
Il ricorso a fronti trasversali “contro” qualcuno, più che “per” qualcosa, finisce per delegittimare ulteriormente il sistema democratico rappresentativo agli occhi dei cittadini. Quando le forze tradizionali si coalizzano non su una visione condivisa, ma sul semplice rifiuto di un avversario, anche se radicale o populista, comunicano implicitamente la propria incapacità di competere su un piano autenticamente politico.
Ciò alimenta, legittimandola, la narrazione degli stessi partiti antisistema, che così possono facilmente presentarsi come le uniche vittime di un sistema autoreferenziale e blindato. Paradossalmente, più si cerca di escluderli con misure emergenziali o accordi extra-politici, più se ne legittima l'esistenza agli occhi dell’elettorato ed i risultati, come è accaduto anche in Romania, sono sempre a favore degli esclusi. Il patto “contro” si trasforma in una prova di quanto quel sistema sia disposto a piegare le regole pur di non affrontare il dissenso nel campo della dialettica democratica. Nel caso tedesco, l'appoggio trasversale al cancelliere Merz, giustificato con la necessità di arginare l'ascesa dell’AfD, ha prodotto proprio questo effetto boomerang: una parte significativa dell’opinione pubblica ha percepito l’alleanza come un tentativo elitario di conservare lo status quo, conferendo così ulteriore forza simbolica all’opposizione radicale.
Non è un caso che, nei sondaggi successivi, il consenso per l’AfD sia cresciuto, mostrando come l’esclusione politica non equivalga affatto alla sconfitta sociale o culturale. Sarebbe più semplice lasciare queste forze governare, perché, come dimostrano i primi fallimentari mesi di Trump, quando queste forze si trovano davanti alla complessità del panorama sociale, politico ed economico, non riescono ad attuare le soluzioni sbandierate in sede elettorale.