La campagna elettorale calabrese, giunta alla fine, ha mostrato tre stili, tre retoriche, tre modi di intendere il rapporto con il pubblico. Tre stili totalmente diversi, ciascuno con delle proprie caratteristiche peculiari che lo hanno contraddistinto dall'avversario politico. Non soltanto programmi e promesse, ma caratteri, gesti e toni che definiscono più di ogni manifesto il profilo dei candidati.

“Il carattere di un uomo è il suo destino”, scriveva Eraclito. Nelle settimane trascorse a percorrere paesi e piazze, a farsi ascoltare tra social e televisioni, ciascuno dei protagonisti ha delineato la propria cifra, rendendo questa competizione un palcoscenico in cui la politica si confonde con la rappresentazione di sé.

Pasquale Tridico ci ha mostrato un’oratoria sobria e accademica. I suoi 'comizi' e le sue interlocuzioni con il pubblico, hanno messo al primo posto la competenza tecnica.

In ogni suo discorso torna una parola, quasi fosse una bussola: dignità. Non è un termine tecnico, ma esistenziale, e viene pronunciato con accenti che tradiscono una formazione culturale tecnica più che politica. L’impostazione dei suoi comizi è scandita da un ritmo lento, didattico, quasi universitario, ma capace di accendersi in improvvise aperture emotive. Non solleva la voce se non per sottolineare immagini di vita quotidiana: un giovane costretto a emigrare, un’anziana che attende una visita medica, una madre che lavora per un salario minimo.

La sua comunicazione si affida a un registro sobrio, persino intimo. Nei social prevalgono fotografie di incontri minori, volti di comunità periferiche, un contatto diretto che vuole essere più testimonianza che spettacolo. La scelta di inaugurare la campagna da Riace è stata letta come dichiarazione simbolica: partire da un luogo che racconta accoglienza e resistenza alla marginalità.

Resta, torna, crediamoci” è lo slogan che racchiude il senso della sua proposta: una lettera collettiva rivolta a chi è rimasto, e un invito a ritornare per chi, invece, è fuori.

Roberto Occhiuto, governatore della regione Calabria uscente, ci ha mostrato nei suoi discorsi una certa preponderanza per il piano della continuità e del fare.

Molto diverso lo stile di Occhiuto, che ha scelto come cifra comunicativa il racconto di ciò che è stato fatto nei 4 anni in cui è stato governatore.

“In quattro anni più che in quaranta”: lo slogan che ha campeggiato su manifesti e post social racchiude un’intera strategia, quella di rivendicare risultati e di proporre la continuità come garanzia di efficienza.

Il suo linguaggio è istituzionale, curato, con l’aria di un rendiconto più che di un proclama.

A differenza di Pasquale Tridico, nei suoi comizi c'è ampio spazio per il fervore.

Nelle apparizioni pubbliche non mancano i sorrisi, che stemperano la durezza delle polemiche, ma il registro rimane costantemente ancorato a un tono amministrativo: dati, cantieri, inaugurazioni. È il volto del “fare”, presentato con un equilibrio che mira a rassicurare.

La campagna è stata condotta anche attraverso la forza dei social: fotografie di ospedali visitati, strade riaperte, tratti ferroviari in cantiere. Ogni post è pensato per dimostrare che la politica non è promessa, ma esecuzione.

Francesco Toscano sì è presentato, invece, come l’eloquenza del dissenso.

Ha condotto la sua campagna elettorale come atto di rottura. Nei comizi il linguaggio è diretto, talvolta aspro, scandito da un lessico polemico che non concede mediazioni. La sua oratoria non si nutre di promesse rassicuranti, ma di denuncia: parla di “burattini” e “poteri forti”, di “due facce della stessa medaglia”, e la sua voce è pensata per scuotere più che per convincere.

La comunicazione digitale è il suo campo privilegiato: canali web, trasmissioni video, dirette sui social. Qui non costruisce un racconto di continuità o di riscatto, ma una piattaforma alternativa, capace di intercettare l’elettorato disilluso. Le piazze in cui parla non sono mai oceaniche, ma il tono è quello di un tribuno che si rivolge a una comunità compatta, chiamata a resistere. In questo, la sua presenza scenica richiama certe figure letterarie di outsider che si ergono contro il coro dominante. Infondo, come scriveva Ugo Foscolo:“Meglio fallire per aver osato che riuscire senza aver rischiato”. Un motto che sembra riflettere la filosofia di questa candidatura.

Così, tra la sobrietà del discorso accademico, l’efficienza rivendicata come marchio e l’eloquenza del dissenso, la campagna calabrese ha offerto tre interpretazioni della politica. Non soltanto programmi, ma soprattutto caratteri: l’intellettuale che parla di dignità, l’amministratore che sorride mentre mostra i risultati, il polemista che denuncia il sistema.

Tre registri che si sono confrontati non soltanto nei comizi, ma anche nello spazio fluido dei social, in cui ciascuno ha tradotto il proprio carattere in immagine. Alla fine, resta l’impressione che questa sfida sia stata, prima ancora che un confronto politico, un grande esercizio di confronto con i cittadini.

Tre modi di abitare la parola pubblica, tre voci che hanno cercato di dare corpo all’antica definizione di Tucidide, secondo cui la politica è “parola in azione”.