Il regionalismo differenziato alla luce dei principi fondamentali della nostra Carta

Non ci sono soltanto gli aspetti politici da valutare ma anche e soprattutto quelli tecnico-giuridici. La disposizione costituzionale in questione rileva per più profili. Quello di maggiore rilievo concerne le competenze attuative dello Stato sociale

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di Silvio Gambino*
12 febbraio 2023
09:04

Dall’approvazione della legge di bilancio all’avvio dell’iter parlamentare di attuazione dell’art. 116, c. 3, la maggioranza parlamentare dà il via all’attuazione della disposizione costituzionale in tema di ‘regionalismo differenziato’ (art. 116, c. 3, della Costituzione), consentendo alle regioni interessate un più ampio accesso (soprattutto ma non solo) all’ambito delle competenze ‘concorrenti’ previste per le regioni nell’art. 117, c. 3, della Carta (ben 23), senza ulteriori altri limiti che non siano quelli della stipula di una Intesa fra Regione richiedente e Stato/Governo e della relativa approvazione parlamentare a maggioranza assoluta.

La disposizione costituzionale di cui parliamo rileva per più profili, fra cui quello per noi ora di maggiore rilievo concerne lo stesso ambito materiale delle competenze oggetto di eventuale richiesta da parte delle regioni, che in gran parte ricomprendono competenze attuative dello ‘Stato sociale’. Fanno parte di tali ambiti materiali 23 ambiti materiali che, nel loro complesso e con riguardo alle specifiche previsioni costituzionali, sono volte a tutelare i diritti fondamentali sociali garantiti dalla Costituzione repubblicana, riproponendosi, in tal modo, lo spostamento del centro gravitazionale di attuazione dei diritti fondamentali (e della relativa effettività) dallo Stato alle Regioni. In una elencazione non completa, rientrano fra tali materie, in particolare, la tutela della salute, l’istruzione, la tutela e la sicurezza del lavoro, la tutela dell’ambiente, ma l’elenco come si è già osservato è solo esemplificativo. Per tali ambiti, la Carta costituzionale fissa le relative garanzie in disposizioni puntuali di tutela (l’art. 32 per il diritto alla salute, gli artt. 33 e 34 per l’istruzione, l’art. 4 nonché gli artt. 35 e ss. per il diritto al lavoro e i diritti dei lavoratori, l’art. 9 per la tutela dell’ambiente), che sono protette dal legislatore (fin qui prevalentemente statale) e dal Giudice delle leggi. La potestà legislativa ‘concorrente’ da parte delle Regioni, che ora evochiamo in ragione della previsione costituzionale che assegna alla competenza del legislatore statale la “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali”, è chiamata (in modo espresso) dal legislatore di revisione a rispettare, conformandovisi nell’attuazione legislativa, i ‘principi fondamentali’ delle singole materie loro attribuite.


La disponibilità costituzionale da parte delle regioni di ambiti competenziali di tale fondamentale rilievo, che è comparabile, per come si è già osservato, all’ambito materiale dello Stato sociale disciplinato costituzionalmente, nell’esercizio concreto delle relative competenze da parte delle regioni, tuttavia, può determinare squilibri più o meno gravi fra i cittadini (anche) in ragione del relativo territorio di residenza e, al contempo, sperequazioni insostenibili nella distribuzione territoriale delle competenze, che si accompagnerebbero con lo stesso squilibrio fra le regioni nell’allocazione delle risorse statali di funzionamento. Ne deriverebbe in tal modo che alle differenziazioni già presenti nell’ordinamento, con riguardo ai servizi assicurati ai cittadini nelle regioni a statuto speciale, si aggiungerebbero ora quelle che saranno previste ed erogate nelle regioni a statuto differenziato (quando, e se, l’attuazione dell’art. 116, c. 3 Cost. sarà perfezionata), imponendo di interrogarsi sui rapporti fra (nuovo) riparto territoriale dei poteri, principio costituzionale di unità e indivisibilità della Repubblica (art. 5), principio di eguaglianza (art. 3) e principio solidaristico (art. 2 Cost.). Interrogativi – quelli appena richiamati – tutti pregnanti quando gli stessi saranno posti a base della valutazione da parte dei cittadini degli specifici ambiti materiali di fondamentali politiche e servizi pubblici, come la tutela e sicurezza del lavoro, la tutela della salute, l’istruzione, l’ambiente, e dei conseguenti impatti delle relative diversità regionali sulla effettività dei diritti sociali dei cittadini residenti nelle regioni a statuto differenziato rispetto a quelle a statuto ordinario. La stessa analisi deve farsi, naturalmente, per l’impatto delle prestazioni amministrative sui diritti civili e sociali negli enti autonomi della Repubblica (comuni, province, città metropolitane).

Rispetto alle molte questioni sollevate dalla revisione costituzionale del 1999/2001, in tale ottica, sono fondamentali e pertanto meritevoli di approfondimento i profili posti dalle nuove competenze riconosciute alle regioni e agli enti autonomi della Repubblica con riguardo alla garanzia dei ‘diritti di cittadinanza’ (unitari e sociali). Sotto tale profilo, rilevano le stesse questioni poste delle modalità previste per assicurare alle regioni e agli altri enti territoriali le risorse necessarie all’esercizio delle competenze loro riconosciute dalla riforma costituzionale (art. 119 Cost. e legge delega di attuazione, la n. 42 del 2009). In tale quadro, pertanto, il profilo centrale posto dalla questione – ieri con riguardo al federalismo fiscale, oggi allo stesso regionalismo asimmetrico – è quello che porta ad interrogarsi sul nuovo assetto delle competenze, per come disegnato dalla riforma costituzionale e dalle forme istituzionali seguite per l’attuazione dell’art. 116, c. 3 Cost., rispetto alla garanzia del principio di eguaglianza fra i cittadini e con esso della garanzia dell’insieme dei diritti di cittadinanza unitaria e sociale posti a fondamento della vigente forma di Stato. In tale prospettiva, deve sottolinearsi come l’art. 117 (c. 2, lettera m) della Costituzione non attribuisce alla legislazione esclusiva dello Stato la sola competenza a determinare i livelli essenziali delle prestazioni in materia di diritti sociali, estendendosi, con formulazione pienamente garantistica, anche ai diritti civili, di modo che i primi e i secondi siano garantiti su tutto il territorio nazionale.

Rispetto ad un simile quadro legislativo, si ponevano (e tuttora si pongono) non solo fattualmente ma formalmente come evenienze possibili la lesione del principio di eguaglianza dei cittadini all’interno di ogni singola Regione e fra le diverse regioni. Mentre, in tale ambito, si potevano assumere come sufficienti le previsioni costituzionali di divieto di discriminazione fra le persone, le eventuali diseguaglianze in ragione dei territori regionali di residenza sarebbero risultate senza copertura costituzionale; ciò soprattutto in considerazione della realtà sociale e politica del Paese, tuttora caratterizzata da una persistente ‘questione meridionale’, qui intesa come (non superato) divario socio-economico fra Nord e Sud del Paese e per tale ragione bisognosa di adeguate misure perequative di riequilibrio (nel rispetto delle previsioni dell’art. 119, c. 5, Cost.).

È soprattutto rispetto a tale reale diseguaglianza che costituisce garanzia dei diritti di cittadinanza la richiamata previsione di cui alla lettera m dell’art. 117, c. 2, Cost., nonché la previsione dell’ulteriore limite costituito dai ‘princìpi fondamentali’ riservati alla legislazione dello Stato con riferimento alle competenze ‘concorrenti’ delle regioni (ma la stessa analisi deve valere anche per quelle ‘esclusive’ delle medesime).

Nell’attuazione del principio di solidarietà, inoltre, la ‘Repubblica’ è chiamata a far valere, a titolo di solidarietà e di ‘coesione sociale’, tutte quelle garanzie che concorrono, con il principio di eguaglianza sostanziale, a superare le diseguaglianze originate nel sistema economico e sociale, rimuovendone gli squilibri e favorendo l’effettivo esercizio dei diritti della persona. Al legislatore (statale e regionale) e al rimanente sistema autonomistico della Repubblica, nell’esercizio dei poteri normativi di cui sono rispettivamente attributari in via costituzionale, e nel rispetto del principio di sussidiarietà e di leale collaborazione, compete di assicurare la tutela dell’‘unità giuridica’ e dell’‘unità economica’.

Tanto per sottolineare rispetto alle odierne pretese legislative la dubbia conformità costituzionale di un processo di attuazione del regionalismo differenziato che non si conformasse ai principi fondamentali della Carta costituzionale e alle disposizioni di merito puntualmente sancite nel relativo testo di revisione. Solo in una simile lettura di conformazione ai ‘principi fondamentali’, così, pare ragionevole chiedersi se il rischio di uno “scivolamento verso il basso” dei contenuti della nuova disciplina delle prestazioni essenziali in materia di diritti civili e sociali – e con essi di un difficile limite da opporre al presente “arbitrio della maggioranza” (parlamentare) – possa ritenersi scongiurato o se, al contrario, le previsioni dell’art. 116, c. 3, non lo confermino pienamente.

Una simile lettura, riguardando un ambito materiale costituito da fondamentali diritti sociali, deve conformarsi alle riserve legislative previste a tutela dei diritti fondamentali, escludendo pertanto che la stessa possa essere disciplinata con decreti del presidente del consiglio dei ministri. In un simile scenario, sarebbe inevitabile che la tutela di situazioni giuridiche eventualmente riguardate da simili atti amministrativi possa estendersi alla legge di bilancio (che ha appunto disciplinato l’attuazione dei livelli essenziali delle prestazioni, i c.d. LEP), con tutte le conseguenze che l’impatto della eventuale censura del Giudice delle leggi potrà comportare.

*Professore emerito di Diritto pubblico comparato all’Unical

di Silvio Gambino*
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