Applausi in Senato, sorrisi di rito e via verso il referendum. Tra l’Alta Corte, il sorteggio del CSM e la separazione delle carriere, il governo scommette su una giustizia più veloce, più libera e – forse – meno politicizzata
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La grande corsa alla riforma della giustizia è ufficialmente cominciata. Applausi in Senato, sorrisi di rito, e via, tutti pronti verso il referendum. Apparentemente sembra la rivoluzione del secolo: tribunali efficienti, processi sbrigativi e fascicoli che smettono di prendere la polvere.
Chi non la vorrebbe una giustizia così efficiente e liberale? Un processo civile, oggi, dura quanto una laurea in medicina più una specializzazione. No, non scherziamo, è pura realtà, non fantasia. Non si tratta di una riforma epocale, che sia chiaro, ma di una riforma giusta e a favore dei cittadini.
Certo, non risolverà tutti i problemi della magistratura, ma indubbiamente lascerà qualche effetto collaterale benefico.
E finalmente fa il suo ingresso l’Alta Corte, quella tanto attesa, chiamata a garantire l’indipendenza vera – quella con la “I” maiuscola – della magistratura.
Un’idea niente male, diciamolo. In un sistema dove spesso i giudici finiscono per respirare più smog politico che ossigeno di giustizia, l’arrivo di una boccata d’aria fresca suona più o meno come una rivoluzione con tanto di ventilatore acceso.
Poi c’è la mossa a sorpresa: il sorteggio dei membri del CSM.
L’idea, almeno sulla carta, è geniale nella sua semplicità: spezzare le catene delle correnti e restituire ai magistrati la toga, non la bandiera di partito. Perché, diciamocelo, un giudice deve giudicare, non fare il tifo, né preoccuparsi se la sua sentenza farà sorridere qualcuno più in alto.
Se davvero funzionasse, l’Alta Corte potrebbe diventare un gran purificatore d’aria giudiziario. E poi c’è la famigerata separazione delle carriere, quella che molti vendono come “riforma della libertà”, ma che – a guardarla bene – per una serie di motivi assomiglia un po’ a una separazione matrimoniale. L’idea, in teoria, è chiara: separare nettamente giudici e pubblici ministeri.
In pratica, però, pare che ci possa essere il rischio di creare due mondi che non si parlano più, con i PM troppo vicini al potere politico e i giudici intrappolati in un labirinto di sospetti e pressioni.
Insomma, staremo a vedere, ma in ogni caso, delle due l’una. E in tutto questo, chi manca all’appello?
Proprio lei, l’Associazione Nazionale Magistrati. Durante la legge Cartabia, quando serviva alzare la voce per difendere l’indipendenza della magistratura, l’ANM ha scelto la via del silenzio, e questo è fattuale.
Niente proteste vere, niente di niente. Solo qualche comunicato poco chiaro. E ora? Ora è un po’ tardi per indignarsi se le toghe finiscono nel tritacarne politico. Poiché quando c’era da agire, si è preferito restare a guardare.
Allora diciamocelo: questa riforma, con tutti i suoi limiti e le sue buone intenzioni, resta comunque una sfida importante per la giustizia, e per questo governo.
Si tratta di una riforma che vuole una giustizia più veloce, più libera e meno simile a una telenovela giudiziaria infinita, dove gli imputati vengono demoliti prima dai media che dalle sentenze.
Ci vorranno tempo, pazienza e forse un piccolo miracolo burocratico.
Perché oggi che la magistratura non sia indipendente è risaputo, e che i partiti politici abbiano forti connessioni con le correnti della magistratura, abbiamo avuto modo di vederlo. Nel dubbio, restiamo a vedere se questa corsa per riformare la giustizia finirà sul podio o in tribunale d’appello, tanto per essere ironici.

