Altro che riforma: il voto in condotta punitivo c’era già e il nuovo “esame di cittadinanza” rischia di trasformarsi in un’arma ideologica contro il dissenso, più utile alla visibilità politica che all’educazione vera
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Non è dal prossimo anno scolastico, come hanno riferito alcuni organi di stampa, che il voto in condotta peserà quanto quello di qualsiasi altra materia, ma da quando malauguratamente il voto di condotta è stato ripristinato, molto prima del governo Meloni quindi.
Nel dare il via libera alla “riforma della scuola” il ministro Giuseppe Valditara ha parlato, come da copione, di «punto fermo nella costruzione di una scuola fondata sulla responsabilità e sul merito», ma si da il caso che la scuola italiana, come tale, è da sempre fondata sulla responsabilità.
È quindi oltremodo patetico questo sensazionalismo governativo che spaccia per novità assolute quelle che sono semplicemente cose ordinarie e non sempre delle migliori.
Nella fantomatica “riforma scolastica” del governo Meloni una novità però c’è sicuramente ed è il cosiddetto “esame di cittadinanza”.
Questa grottesca trovata, che non ha altra funzione se non quella di mostrare una visibilità mediatica alla linea “muscolare” del governo, consiste in un tema o in una attività di volontariato per riparare «eventuali episodi di violenza ai danni del personale scolastico e degli altri studenti».
Sì, il lettore ha capito bene. Atti di teppismo o di violenza saranno “corretti” con… un tema, naturalmente di argomento appropriato all’illecito commesso. Per esempio, chi ha bullizzato un compagno di classe o di scuola dovrà scrivere un testo documentato sul bullismo e “dimostrare” quanto si sia “pentito” del malsano gesto.
A questo punto sorge spontanea una domanda: davvero si pensa che la minaccia di dovere scrivere un tema o di dovere prestare qualche ora di volontariato possa insegnare il rispetto delle regole? È del tutto evidente che la risposta è no.
Simili provvedimenti disciplinari rispondono infatti ad una logica di “riparazione” puramente "simbolica” che in realtà è un puro esercizio formale, senza alcuna ricaduta educativa.
Valditara afferma - seriamente, ahinoi - che si tratta di un messaggio “forte e chiaro”, per affermare che nella scuola italiana il rispetto delle regole è imprescindibile. Semplicemente non è vero.
Quando uno studente commette un’azione irresponsabile o violenta, dentro una scuola che sia inserita in un tessuto sociale degradato o in ambiente sano, il fallimento educativo che egli rappresenta è sempre della scuola.
Le attuali normative disciplinari delle nostre scuole “puniscono” già abbastanza e, come tutte le norme punitive, agiscono sugli effetti della cattiva educazione, lasciando inalterate le dinamiche che generano insoddisfazione, disagio e violenza tra i banchi di scuola.
Bisogna invece intervenire sulle cause ed un simile intervento non può essere punitivo ma, per forza di cose, educativo.
Per una scuola davvero autorevole ci vuole molto più che il voto di condotta in pagella, perchè la cosiddetta “condotta”, cioè l’uso buono o cattivo che il ragazzo fa di quel poco o tanto che ha imparato, dovrebbe essere tutta interna alla valutazione disciplinare, nel senso della valutazione nella singola materia, perché sono le materie ad essere educative attraverso i loro contenuti. Attualmente con il voto di condotta si valutano di fatto solo le buone maniere degli alunni. Ma questo non ha il minimo significato, perché l’esperienza ci ha insegnato che tra i ragazzi ci sono sempre stati delinquenti dai modi gentili e brave persone dai modi cafoneschi.
Servirebbe quindi una riflessione più ampia ed un investimento, materiale ed umano, molto più serio sulla formazione dei docenti, sull’ascolto dei bisogni dei giovani, sulla qualità della mediazione didattica e sul sostegno alle pratiche che servono a contrastare la sempre più preoccupante sindrome di “ritiro sociale” di tante frange giovanili, evitando i culturalismi accademici, fumogeni e fuorvianti di tanti corsi di aggiornamento e di formazione per insegnanti.
Si può capire perché tanti operatori della scuola, a partire dal ministro Valditara, tendano a fuggire da tutto questo.
Si sa che punire è più facile che educare, soprattutto perché richiede meno fatica.
Beh, fino a qui le recenti disposizioni del ministro Valditara sembrano solo inutili, ma al loro interno c’è anche un aspetto subdolamente ideologico, che va respinto “con fermezza”, come Giorgia Meloni ripete quotidianamente.
In base alle nuove disposizioni di Valditara infatti il tema “riparatore” lo dovrà scrivere anche chi dovesse partecipare ad una occupazione ed il contenuto del tema dovrà essere “l’interruzione di pubblico servizio” oppure “la gestione dei beni comuni”.
Questo significa, in soldoni, che il dissenso e la protesta sono equiparati ad una grave mancanza disciplinare o addirittura ad un comportamento violento.
Come non vedere che il miserabile obiettivo reale di questi spiccioli provvedimenti, pomposamente chiamati “riforma”, sia colpire comportamenti “politici” come le occupazioni? Come non vedere che si tratta della solita italica criminalizzazione della cultura critica, del dissenso e della protesta?
La verità e che Giuseppe Valditara vuole trasformare il voto in condotta, già di per sé nocivo, in uno strumento di “persuasione” ideologica più che educativa.
Speriamo dunque che tra gli insegnanti e gli operatori della scuola più avvertiti, competenti e saggi prevalga una strategia di “contenimento del danno” rispetto a questo modello educativo con il braccio destro sollevato.