La puntata di "Perfidia" andata in onda venerdì 31 ottobre su LaC Tv, intitolata non a caso "Scompagnati" e condotta con l'usuale freddezza chirurgica da Antonella Grippo, non è stato un semplice talk politico ma un approfondimento politico che ha portato a nudo le criticità di vinti e vincitori. In prima serata sono riemersi tutti i fantasmi, le promesse mancate e i fallimenti cronici della Calabria (figurati la novità).

Il format, amplificato dalla presenza critica di voci nazionali, si è trasformato in un regolamento di conti pubblico. Il parterre era un cocktail molotov: Francesco Cannizzaro (deputato FI e coordinatore regionale del partito), l'ex Presidente della Regione Calabria Mario Oliverio, Francesco Colelli (PD, consigliere comunale di Vibo Valentia), Mattia Salimbeni (Istituto Liberale, la coscienza critica), e, in collegamento, i cinici osservatori Pietro Senaldi (Libero) e Francesco Giubilei (Fondazione AN), tutti pronti a giudicare la tragicommedia dall'alto. I temi non erano questioni politiche, ma vere e proprie maledizioni strutturali che attanagliano la regione.

Il "fantasma" del Ponte sullo Stretto bocciato dalla Corte dei Conti (quindi non è un problema politico, è un problema di contabilità), ha dominato la scena. Cannizzaro (FI) ha mantenuto un silenzio tombale sulla composizione della nuova Giunta Occhiuto.

Alle domande dirette della Grippo sulla spartizione delle poltrone, ha liquidato tutto con un fin troppo diplomatico "continuo confronto tra le parti pacificamente in corso". Tradotto: la battaglia per le poltrone è feroce, ma vi diremo chi ha vinto quando i lividi si saranno riassorbiti. 

Il fallimento parlamentare della Riforma della Giustizia, che non ha raggiunto i due terzi, la spinge al referendum confermativo. Una palese prova di debolezza legislativa, praticamente, se la maggioranza non riesce a convincere nemmeno sé stessa, costringendo il Paese al voto per ratificare la sua fragilità, il problema è sistemico. E sul tema dell’alta velocità, la faida è diventata personale. Salimbeni (Liberale) ha affrontato l'ex Governatore Oliverio come un becchino che chiede conto delle bare (leggi: progetti) mai interrate. L'accusa sulle responsabilità storiche che tengono la Calabria inchiodata a una velocità da carretto è stata mortificante, devastante, evidenziando il divario tra chi vuole la tabula rasa e il politico che deve difendere un'era segnata dalla stagnazione.

Ma ecco il Coup de Théâtre, Oliverio dichiara guerra al suo passato (e Futuro?). L'ex Presidente, con un timing degno di un dramma shakespeariano, ha fatto un'autocritica che suona come un calcolo politico per la sua resurrezione. Ha riconosciuto e criticato duramente l'operato del centrosinistra nelle ultime tre sconfitte. Oliverio non si è limitato al lamento funebre, ha lanciato un ultimatum/appello a "creare uniti una nuova ripartenza" tramite incontri, ma subito dopo ha precisato la clausola capestro: lui non ha alcun ruolo politico o di partito in questo momento. È il capo che si è ritirato ma torna a dispensare la saggezza a una famiglia politica ormai incapace di allacciarsi le scarpe da sola. Questa mossa ha scatenato la vendetta sarcastica di Forza Italia. Francesco Cannizzaro (FI) ha colto l'occasione con la freddezza chirurgica di un killer politico. Utilizzando l'autocritica di Oliverio come un'arma contundente, Cannizzaro ha sferrato il colpo di grazia finale, per come nelle doti chi sa di essere “maggioranza”: ha ironicamente suggerito che il Partito Democratico debba ancora "ninnare" l'organizzazione attraverso l'esperienza dell'ex Presidente Oliverio per tentare, disperatamente, di "cancellare le ultime tre sconfitte". Un affondo micidiale, l'appello di Oliverio non è unità, ma la certificazione che il PD è un’entità politica svuotata, costretta a chiedere la benedizione, o il life support, a chi ha già chiuso con la politica attiva.

In sintesi, "Scompagnati" ha confermato che in Calabria l'analisi politica è un esercizio di equilibrio tra grandi promesse (osservate con distacco da Senaldi e Giubilei) e una realtà in cui l'autocritica diventa immediatamente l'arma più affilata da consegnare al nemico. E la politica, si sa, non perdona mai la debolezza.