Autonomia differenziata, a qualcuno piaceva anche al Sud: i governatori di Forza Italia tra retromarce e critiche (troppo) timide
Come sono cambiate le parole di Bardi, Occhiuto, Roberti e Schifani. Per tutti il ddl Calderoli era un'«opportunità», ora è un problema che li mette davanti alle contraddizioni del centrodestra. E in Piemonte Cirio sposa la linea della Lega (e di Zaia)
Il governatore del Molise Francesco Roberti è passato da «non vedo fantasmi» a «l’Autonomia differenziata potrà essere realizzata solo dopo aver garantito i Lep, ovvero i Livelli essenziali delle prestazioni, a tutte le Regioni». Dunque, forse, qualche fantasma c’era. Per il presidente della Sicilia Renato Schifani l’approvazione della riforma era «una prova per rendere più giusta, più competitiva e più autonomista la nostra Repubblica». Ma anche (qualche mese più tardi) «una scommessa» sulla quale «vigileremo con attenzione affinché non ci sia un'Italia a due velocità, perché non interessa a nessuno, né al Nord e né al Sud».
Roberto Occhiuto, oggi tra i più critici nel centrodestra, è stato criticato dal Pd per la sua ambiguità: tanto per cominciare ha votato Sì in Conferenza Stato-Regioni e poi ha portato Calderoli in Cittadella perché raccontasse i benefici della legge. Vito Bardi (Basilicata) è fiducioso e felpato: l’osservatorio varato da Forza Italia studierà che tutto vada nella giusta maniera. Nel passaggio tra i quattro governatori del Sud e Alberto Cirio, presidente del Piemonte, c’è uno scarto notevole: non solo Cirio non critica la riforma ma si è impegnato (assieme al Veneto) a costituirsi davanti alla Corte costituzionale contro i ricorsi presentati da Puglia e Sardegna.
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Cinque sfumature di Fi e il terrore di perdere voti al Sud
Cinque sfumature di Forza Italia sulla contestatissima legge Calderoli: sostenuta forse con troppa fiducia prima della sua approvazione e ora contestata senza trascurare i rapporti con la Lega che l’ha fortemente voluta. In mezzo c’è il successo della raccolta di firme per il referendum e il timore di perdere terreno al Sud, dove Fi governa quattro Regioni e se l’Autonomia dovesse terremotare l’economia del Mezzogiorno potrebbe dire addio al proprio bacino di voti.
La mobilitazione cavalcata dalle opposizioni e i contrasti nella coalizione sembrano aver convinto la premier Giorgia Meloni a frenare l’ansia dei governatori leghisti sulle materie da trasferire dallo Stato alle Regioni. L’idea è quella di frenare su tutte le riforme: il premierato potrebbe slittare di un anno anche per dar modo alla maggioranza di ragionare sull’Autonomia differenziata fuori dalla bufera della battaglia referendaria.
Calderoli, però, vuole rispettare tempi e promesse elettorali: altro potenziale motivo di scontro. Al centro della contesa ci sono (anche) i governatori forzisti. Costretti a limare, rivedere, smussare, precisare le proprie posizioni. Esercizio (non facile) di retorica per spin doctor e uffici stampa. L’accusa di ambiguità se non di incoerenza politica è sempre dietro l’angolo.
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Roberti non vedeva «fantasmi» e Schifani era pronto alla sfida
Roberti, per esempio, a gennaio rassicurava tutti e accusava «le minoranze» che «vedono solo fantasmi, spettri». Otto mesi dopo non è che punti i piedi ma si affida alla cabina di regia del leader forzista Antonio Tajani e all’impegno che l’Ad si farà «solo dopo aver garantito i Lep». Che a forza di parlarne senza vederli (né tradurli in miliardi di euro) sono diventati il vero fantasma. Il M5S molisano ha provato a inserirsi nella breccia: «Molti esponenti locali del centrodestra hanno sostenuto l’autonomia differenziata più per ordini di partito che per reale convinzione politica. Tuttavia, quando il futuro delle comunità locali è in gioco, non si può agire per mero calcolo politico».
Schifani è passato dall’entusiasmo della «sfida per il sistema delle autonomie» a qualche preoccupazione. Il 19 giugno 2024 spiegava che «la Sicilia - prosegue - ha le carte in regola per partecipare a questa grande trasformazione, anche perché adesso sta crescendo, incrementando Pil e investimenti, incrementando livelli di efficienza come dimostrato nel settore energetico». Metteva in evidenza la necessità di garantire «l'eguaglianza sostanziale, i livelli essenziali delle prestazioni e gli interventi di perequazione per superare i divari tra Nord e Sud e la marginalità insulare» ma in un quadro fiducioso. Qualche giorno fa, invece, ha parlato della riforma come di una scommessa. E a chi gli contesta di essere stato troppo morbido sui guasti della riforma ha spiegato che «vigileremo attivamente nella convinzione che istituzioni più giuste e più moderne siano ciò che i cittadini e le imprese chiedono». Insomma, «il dibattito è aperto». Forse tardi, visto che la legge è stata approvata.
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Quando Occhiuto si fidava dell'intelligenza di Calderoli
È ancora ottimista il governatore lucano Bardi. Per lui l’Autonomia è ancora un’opportunità: «Mi chiedo – ha spiegato a Matera in un recente dibattito –: oggi le cose funzionano? Secondo me no. Il gap fra Nord e Sud è evidente, nessuno fa niente perché questo possa essere modificato. Abbiamo una legge, abbiamo una possibilità di poter intervenire, facciamolo».
L’Autonomia differenziata è stata definita in passato un’opportunità anche da Roberto Occhiuto, il governatore calabrese che, sempre a Matera, si è chiesto «ma se alcune Regioni possono fare contratti integrativi, chessò, ai medici, chi volete che venga a lavorare in un ospedale di Polistena o Locri?». La risposta è così scontata che non serve. Ma per l’opposizione che incalza Occhiuto sul tema, i rischi erano evidenti anche nei giorni in cui il presidente della Calabria diceva Sì alla riforma in Conferenza Stato-Regioni. E, pur richiamando l’importanza delle pari opportunità e del superamento della spesa storica, parlava (come Schifani) di una «sfida che va colta senza timori dalle Regioni del Sud». Occhiuto richiamava l’importanza dei Lep ma diceva di avere «grande fiducia nell’intelligenza di Calderoli». Oggi si fida meno e, mentre il ministro accelera per il passaggio delle materie alle Regioni del Nord, chiede una moratoria al governo in attesa che si definiscano i Livelli essenziali di prestazioni. Il Pd intanto incalza: le dichiarazioni non corrispondono alle scelte ufficiali.
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Cirio più vicino a Zaia che a Tajani
L’ultima sfumatura arriva dal Nord: è quella in cui l’azzurro forzista vira verso il verde Carroccio. Alberto Cirio, governatore del Piemonte è stato tirato dalla giacchetta nelle ultime settimane e alla fine si è convinto e ha approvato la delibera che autorizza il Piemonte a costituirsi in giudizio davanti alla Corte Costituzionale dopo i ricorsi presentati dalla Regioni Puglia e Sardegna. «Ci muoviamo in coerenza rispetto a quanto abbiamo sempre fatto, difendendo una legge dello Stato che attua la Costituzione e si inserisce nel solco di quanto già approvato dal Consiglio regionale», ha rimarcato Cirio. Più vicino a Zaia che ai suoi colleghi di Fi, più in linea con Calderoli che con Tajani. Chissà cosa ne pensano i suoi colleghi meridionali.