Ecco la seconda puntata della nostra trilogia sul Potere invisibile che ha modellato l’Italia. Qui potete leggere la prima parte. 

Il 1992 non fu un anno normale. Il calendario sembrava impazzito: ogni mese un crollo, ogni settimana un funerale di Stato, ogni giorno un titolo che apriva il telegiornale con la parola “emergenza”. Non c’era tempo per assorbire una notizia che già ne arrivava un’altra, più grande, più grave. Era come se qualcuno avesse deciso di girare la clessidra della Repubblica e far scorrere tutta la sabbia in un colpo solo.

A Milano, Tangentopoli svelava la voragine sotto i piedi della Prima Repubblica. Arresti eccellenti, partiti che si sbriciolavano, leader che si eclissavano o si toglievano la vita. La corruzione non era più un’ipotesi: era diventata un’inchiesta quotidiana, un elenco di nomi che scorreva come un bollettino di guerra. A Palermo, il sangue scandiva il tempo: Capaci il 23 maggio, via D’Amelio il 19 luglio. Cinquantasette giorni tra una strage e l’altra. Due colpi di pistola alla nuca della Prima Repubblica, sparati con il tritolo.

Falcone, Borsellino e il passo troppo lungo

Falcone e Borsellino non stavano solo indagando sulla mafia “tradizionale”. Avevano cominciato a mappare connessioni finanziarie internazionali, a seguire i flussi di denaro che passavano per banche insospettabili, a capire che dietro le famiglie mafiose c’era un’altra famiglia invisibile, in cui sedevano boss, massoni deviati e interessi stranieri.

Avevano intuito che il Potere con la P maiuscola era un corpo con molte braccia: la mafia era solo una di esse. Le altre erano il terrorismo – rosso e nero –, la P2, le organizzazioni criminali “di servizio” come la Banda della Magliana, pronte a comparire e scomparire in base alla necessità.
Il passo che stavano per compiere era troppo lungo: dal livello nazionale a quello sovranazionale. E questo, per certi equilibri, era intollerabile.

Il filo rosso di Graviano

Le sentenze ci dicono che c’è un nome in comune nelle stragi del ’92 e del ’93: Giuseppe Graviano. È lui l’uomo di Cosa Nostra in via D’Amelio, ed è sempre lui l’uomo centrale nelle bombe di Firenze, Roma, Milano.
Se il protagonista è lo stesso, come si fa a raccontare queste stragi come episodi separati? Più plausibile pensare a un’unica campagna, con un obiettivo preciso: creare un vuoto e riempirlo con un nuovo ordine politico.
Il 27 gennaio 1994 Graviano viene arrestato a Milano. È la stessa Milano in cui, poche settimane dopo, Silvio Berlusconi annuncia la sua “discesa in campo”. Coincidenze? Forse. Ma in Italia le coincidenze hanno spesso la forma di una strategia riuscita. Il lavoro sporco era finito, gli attori di prima fila potevano entrare in scena.

La nascita senza golpe

La Seconda Repubblica non nacque con un golpe, ma con un cambio di regime mascherato da transizione democratica. Le bombe cessarono, ma non perché fosse arrivata la pace: semplicemente, il messaggio era stato recapitato e compreso.

Lo Stato, o almeno una parte di esso, aveva accettato i nuovi equilibri. La destabilizzazione aveva raggiunto il suo scopo: sostituire un sistema di potere con un altro, senza cambiare la natura del Potere stesso. In quella fase, il corpo con molte braccia cambiò linguaggio. Non servivano più le esplosioni: bastavano le alleanze, i flussi di denaro, i canali mediatici, il controllo delle agende politiche. Gli spettatori paganti.

E noi? Eravamo davanti alla televisione, nei bar e nei salotti, a guardare i volti nuovi che parlavano come i vecchi. Nei mercati rionali, tra un sacchetto di frutta e una battuta sul tempo, le donne commentavano la “rivoluzione” come si commenta un matrimonio in famiglia: con curiosità, ma senza illusioni. Ci dissero che stavamo vivendo una rinascita. Ma per chi? Per cosa? La Seconda Repubblica portava con sé lo stesso vizio della prima: essere governata da chi non si presenta mai alle elezioni.

Il gancio verso il presente

La lezione del ’92–’94 è semplice: il Potere con la P maiuscola sa destabilizzare e sa ricostruire. Sa cambiare braccia, linguaggi, volti. E quando il tritolo non serve più, il Potere si muove alla luce del sole.
Ed è proprio in questa forma che lo ritroveremo oggi: nei consigli di amministrazione, nelle conferenze stampa, nei decreti approvati in agosto. Non c’è bisogno di sangue per ridisegnare il Paese: basta sapere dove mettere la penna.