Il presidente uscente liquida il regionalismo come un fallimento (a parte la sua parentesi): un attacco trasversale a tutta classe politica con l’obiettivo di proporsi come volto “nuovo” e “diverso”. Ma la strategia porta con sé anche rischi e contraddizioni
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«Ho fatto più io in 4 anni che gli altri in 40». Uno slogan netto, quasi brutale, quello scelto da Roberto Occhiuto per aprire la campagna elettorale in vista delle regionali del 5 e 6 ottobre. Non c’è spazio per le sfumature: il Governatore uscente liquida quarant’anni di regionalismo calabrese come un fallimento, contrapponendo ad essi la sua azione amministrativa, che rivendica come innovativa, produttiva, finalmente all’altezza delle sfide.
Ma a ben guardare, quel “40 anni” non è soltanto un riferimento generico a una lunga stagione di governo inconcludente: è una frattura politica e comunicativa, una precisa strategia di posizionamento. Perché la storia della Regione Calabria si caratterizza per alternanza tra consiliature di centrodestra e si centrosinistra. E quindi? Occhiuto sta attaccando anche la storia del suo stesso schieramento? In parte sì. Ma la chiave è un’altra. Occhiuto non vuole soltanto vincere, vuole riposizionarsi come una figura nuova, forte, diversa. Uno che — pur venendo dal centrodestra — non si è mai lasciato intrappolare nella liturgia della vecchia politica. Il messaggio è chiaro: io non sono come “loro”, non sono parte del passato, anche se formalmente arrivo dallo stesso campo. Il suo è un centrodestra di governo, pragmatico, iperconnesso con Roma e con Bruxelles. Non a caso, il profilo nazionale di Occhiuto (vicesegretario nazionale di Forza Italia e già capogruppo alla Camera degli azzurri) rafforza questa narrazione.
Dichiarare chiuso il capitolo dei “40 anni” serve quindi a spingere verso l’idea di una Calabria finalmente “normalizzata”, al passo coi tempi, che non vive più di emergenze e commissariamenti ma si muove con metodo, visione e risultati. È una mossa che guarda anche fuori dal recinto del centrodestra: serve a parlare a quell’elettorato moderato, disilluso, magari di centrosinistra o civico, che cerca non ideologia ma affidabilità e capacità amministrativa. Certo, questa narrazione porta con sé dei rischi. Primo tra tutti, quello dell’autosufficienza: rivendicare tutto per sé significa anche scaricare implicitamente tutto il resto, alleati compresi. E poi c’è il tema della memoria: davvero si può ridurre la storia della Regione a un buco nero di 40 anni? Davvero nulla è stato fatto? Nessun precedente merita di essere citato, valorizzato, nemmeno tra le fila del suo stesso partito?
Ma per ora, lo slogan sembra funzionare. La semplicità del messaggio, la forza della contrapposizione tra “prima” e “dopo”, la capacità di Occhiuto di apparire smart e operativo in una Regione spesso segnata dall’immobilismo, sembrano essere le carte su cui punta tutto. Nel tempo dell’anti-politica, il governatore uscente non rinnega la politica, ma ne prende le distanze quanto basta per dire: io sono un’altra cosa. Anche se vengo da lì. Anche se tecnicamente, sono “uno dei vostri”.