Dopo i due ko nelle Marche e in Calabria, la segretaria rilancia il campo largo ma il partito esplode. Taruffi difende la linea dura, Picierno e Quartapelle attaccano: «Basta con la fede cieca nell’unità, serve un progetto riformista»
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La tregua è finita. Dopo i due ko consecutivi — prima nelle Marche, poi in Calabria — nel Partito Democratico è riesplosa la guerra tra le anime del partito. Elly Schlein non ha alcuna intenzione di cambiare rotta. Niente autocritica, nessuna svolta moderata: «Il campo largo non si tocca», ripetono al Nazareno. Ma la linea della segretaria, quella del fronte compatto con i Cinque Stelle e la sinistra radicale, sta spaccando il partito come mai prima d’ora.
«Non arretriamo di un millimetro», assicurano i fedelissimi. Al quartier generale si respira un misto di orgoglio e ostinazione. «Non stiamo correndo i 100 metri, ma una maratona», spiega Marta Bonafoni, coordinatrice nazionale Pd. L’idea è che la costruzione di un’alleanza solida richieda tempo e pazienza, non scatti emotivi dopo una sconfitta. Ma tra i riformisti la pazienza sembra finita.
Dietro le porte chiuse di Montecitorio si moltiplicano i malumori contro quella che molti definiscono una «gestione verticistica, poco plurale e per nulla condivisa». Una direzione a senso unico che — secondo chi contesta la segretaria — ha già indebolito il partito nei territori e rischia di isolare il Pd in vista delle prossime elezioni politiche.
Il braccio destro di Schlein, Igor Taruffi, al contrario difende la scelta di non rincorrere i voti al centro. «Nel 2022 chi ha fatto opposizione a Draghi da posizioni radicali, cioè Fratelli d’Italia, non è che alle Politiche sia andato male», ha detto con sarcasmo il responsabile Organizzazione. «L’idea che le elezioni si vincano al centro non è suffragata dalla storia. Si vince quando si è credibili e si danno risposte».
Tradotto: il modello Meloni funziona, e la Schlein vuole replicarlo da sinistra. Ma nel Pd molti pensano che quella sia una trappola. Perché la leader di Fratelli d’Italia ha saputo unire la destra, mentre la segretaria dem rischia di tenere insieme solo le proprie correnti, perdendo il contatto con l’elettorato moderato e riformista.
«Il campo largo non può essere un totem, né un atto di fede», affonda Pina Picierno, vicepresidente del Parlamento europeo. «Serve un’alleanza fondata su una visione comune, una cultura politica riconoscibile, una politica estera coerente e una chiara impronta riformista. Altrimenti, più che un campo largo, rischiamo un campo confuso». Parole che suonano come una sfida aperta alla linea Schlein.
Sulla stessa lunghezza d’onda anche Lia Quartapelle, una delle voci più ascoltate dell’area riformista: «Per tenere insieme la coalizione, il Pd ha perso la voce. Non propone più soluzioni, per paura di scontentare gli alleati. Ma se non abbiamo un’identità forte, nessuno ci seguirà».
Nel frattempo, il “cerchio magico” della segretaria resta compatto. «È un momento difficile, ma non possiamo cambiare rotta ogni volta che arriva una sconfitta», ripetono i suoi. Eppure la realtà è che dentro il partito si avverte il rumore di una frattura ormai profonda.
La doppia batosta elettorale è stata un colpo durissimo. Nelle Marche, roccaforte storica dei progressisti, il candidato sostenuto dal Pd e dai Cinque Stelle è stato travolto. In Calabria, la disfatta è stata ancora più netta, con Roberto Occhiuto (Forza Italia) riconfermato senza difficoltà. Il bilancio politico è impietoso: il centrodestra vola, il “campo largo” affonda.
Eppure Schlein non arretra. «Abbiamo guadagnato voti, il Pd è in salute», insiste. Un messaggio che non convince molti dirigenti, convinti che si stia sottovalutando la crisi interna. «Ci si aggrappa ai numeri per non affrontare il problema politico», confida un esponente dell’area Bonaccini. «Il partito è paralizzato: ogni discussione viene percepita come un attacco personale alla segretaria. Così non si va da nessuna parte».
A pesare è anche il rapporto complicato con Giuseppe Conte, alleato indispensabile ma ingombrante. Le tensioni sul dossier internazionale, dal sostegno all’Ucraina alla guerra a Gaza, hanno evidenziato le differenze tra il Pd e il M5S. E se Schlein continua a difendere il campo largo come “un percorso necessario”, i riformisti lo vivono come un cappio politico che rischia di trascinare il partito in un vicolo cieco.
Il timore, dentro il Nazareno, è che la segretaria resti prigioniera della sua stessa immagine: radicale, militante, identitaria. Una cifra che piace ai giovani e ai movimenti, ma che spaventa gli amministratori locali e gli elettori moderati. In molti sussurrano che, senza un cambio di passo, la leadership Schlein potrebbe durare meno del previsto.
Per ora, però, Elly tira dritto. Sorride, parla di «maratona» e si mostra impermeabile alle critiche. Ma dietro la facciata di fiducia, il Pd è tornato un campo minato. Un partito diviso tra chi sogna la rivoluzione e chi teme l’irrilevanza.
E la “testardamente unitaria” — come ama definirsi — rischia di scoprire presto che, in politica, correre da soli può essere più facile. Ma arrivare in fondo, senza perdere pezzi, è tutta un’altra storia.