Nel talk di Antonella Grippo scintille tra Toscano, Stasi, Graziano e Stumpo: accuse, rivelazioni e parole taglienti, mentre il sindaco di Reggio Calabria mostra la vulnerabilità del potere
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Perfidia spariglia tutto. E non è un’iperbole giornalistica, ma la diagnosi più precisa di ciò che accade quando il palcoscenico della politica incontra la lama della parola televisiva. Nella puntata andata in onda ieri sera, Antonella Grippo – la “Sua Santità El Diablo” del talk politico – con la sua consueta verve da analista politico raffinata, ha saputo scucire dai suoi ospiti cose inscucibili, come se la televisione fosse ancora, nel senso arendtiano, "lo spazio pubblico in cui il dire si fa atto" (RIVEDI QUI LA PUNTATA).
Antonella Grippo, implacabile, è riuscita a condurre Giuseppe Falcomatà sul binario del confessionale, là dove la politica smette di essere calcolo e torna a essere confessione, carne, tradimento.
La puntata si apre con fiamme divampanti. Sin dalle prime battute, Francesco Toscano, con la franchezza di chi non teme nulla, sostiene che se avesse avuto più tempo, Tridico avrebbe perso con maggiore margine. E ancora, con l'aria da eretico, afferma che la campagna elettorale sia stata condotta più contro di lui che contro Occhiuto, il vero competitor diretto.
Poi la parola passa al generale Giuseppe Graziano, uomo di disciplina e memoria, che ricorda come, fino agli ultimi giorni, Occhiuto lo avesse chiamato per chiedergli di candidarsi nella lista “Occhiuto Presidente”. Rivendica con fierezza di essere rimasto fuori dal consiglio regionale pur avendo ottenuto cinquemila voti, cifra che in Calabria suona come una legittimazione popolare ampia, ma al tempo stesso poco utile, perché non convertita in potere.
Seduto accanto al generale Graziano, Flavio Stasi, provocatoriamente accolto sulle note di "Vengo anch'io, no tu no", non risparmia le sue perfidie.
Antonella, instancabile regista di tensioni, torna a parlare del campolargo, punzecchiando Vittoria Baldino in collegamento. Baldino riconosce che in Calabria la campagna elettorale era destinata a essere dura, e che una delle cause della sconfitta risiede nella frammentazione: ciascuno ha corso per la propria causa, con poca generosità.
Antonella restituisce queste perfidie a Falcomatà, chiedendo con veleno e grazia insieme: chi ha sbagliato? Falcomatà risponde con misura: «Le responsabilità sono sempre condivise». Eppure, dietro quella compostezza, si avverte l’amarezza dell’uomo tradito.
Toscano allora rilancia, rivendicando il dovere di dire la verità: «In Calabria manca la politica. Prendono voti solo perché fanno parte di una lista, non per un progetto». Parole dure, da iconoclasta. Lui ritiene che sia giunto il momento di cambiare le regole del gioco, di abbandonare la logica del favoritismo, l’eterna malattia del Mezzogiorno politico.
Il generale Graziano attribuisce invece la sconfitta di Pasquale Tridico alla mancanza di sostegno: né dagli apparati politici, né da quelli interni. Dice la verità, e lo fa con grande limpidezza.
Ma è qui che la puntata si fa teatro. La Grippo – regina del fuoco e dell’iperbole – chiede a Falcomatà se lui, al posto di Tridico, se la sarebbe giocata meglio.
Falcomatà risponde con l’eleganza del politico che sa di camminare sul filo del rasoio: «Avevano il dovere di mobilitare l’elettorato ed andare oltre la percentuale del 2021. Scarsa capacità di mobilitare l’elettorato. Elettorato poco mobilitato. Ma vuoi fare un comizio nella città di Reggio?», aggiunge, sottolineando l’assenza di Elly Schlein dai comizi reggini.
Parole che, sotto la scorza della diplomazia, sono pietre. "Perfidie", come le chiama Antonella, ma anche confessioni: lo sguardo di chi sa di essere stato tradito.
In collegamento arriva Nico Stumpo (Pd). Dalle prime battute si capisce che sarà scontro, e infatti lo è: un duello dai tratti teatrali sul tema del commissariamento. Stumpo grida che non si deve uscire dal commissariamento, ma subito dopo ammette di volerlo superare. È il paradosso politico in forma pura.
Poi, al grido di “Rosso bruno!”, Stumpo inveisce contro Toscano: volano stracci, seppure a distanza. Toscano, con tono sacrilego, risponde: «Non fare la verginella», e Stumpo ribatte, lapidario: «Tu hai la testa solo per spartire le orecchie». È la politica che – come direbbe Hegel – riflette la tragedia del reale.
Antonella, a questo punto, veste i panni dell’avvocato del diavolo. Avverte una certa insofferenza verso Irto e la trasforma in provocazione: «Ora che avete perso, tutti vi scagliate contro Irto».
Stasi prova a ricomporre la frattura: «Se ci si confronta sui contenuti, un punto si trova; se ci si confronta sui numeri, allora no». Ma Toscano lo smentisce: nel campolargo vi sono posizioni troppo distanti, anche sulla guerra russo-ucraina.
L'attenzione questa volta si sposta su Mario Oliverio, ex governatore della Regione Calabria. Antonella manda in onda una divertentissima biografia non autorizzata di cui lei stessa è autrice. In studio si apre il dibattito sulla gestione governativa di Mario Oliverio. Stasi, Falcomatà e Stumpo uniti nel giudicare positivamente Mario Oliverio.
Poi, l’attimo atteso: il confessionale. Il fulcro di tutta la puntata di Perfidia. Sua santità El Diablo chiama sull’inginocchiatoio Giuseppe Falcomatà. È un momento quasi sacrale, con larghi tratti di sacrilego, in cui il politico si fa uomo. Alla domanda sul tradimento, Falcomatà ammette: «Ho tradito, ma sono stato anche tradito».
Le parole cadono come una sentenza. L’ultimo tradimento, confessa, è avvenuto durante l’ultima campagna elettorale. «Dare fiducia a qualcuno che poi non la rispetta. Camminare insieme per un tratto di strada, e poi vederlo cambiare direzione».
È qui che la politica si spoglia del linguaggio e torna mito: il tradimento come archetipo, come meccanismo interno del potere. Seppure Falcomatà mantenga la sua compostezza e diplomazia politica, ai telespettatori suona chiaro il suo riferimento.
A questo punto Antonella rincara la dose riprendendo Doris Lo Moro, la quale sostiene che Falcomatà sia più figo di Irto, mentre vi è Enza Bruno Bossio che sostiene che Irto sia più figo di Falcomatà. Battute che alleggeriscono, ma non cancellano il fondo drammatico del dialogo. Il peccato capitale di Falcomatà, dirà poi lui stesso, è quello di voler costruire una nuova classe dirigente e di perderla per strada. Forse il vero peccato è la fede nella possibilità di rigenerare un sistema che non vuole essere rigenerato.
A questo punto, Sua Santità El Diablo chiama sull’inginocchiatoio il generale Giuseppe Graziano. Le prime confessioni del generale si aprono sulle prime domande del Diablo, e afferma che Mara Carfagna gli aveva chiesto di unirsi a Noi Moderati, ma egli non ha accettato. Occhiuto lo aveva invitato a candidarsi nella lista “Occhiuto Presidente”, ma anche in quel caso la risposta è stata negativa.
Antonella domanda se non sia stato un errore scegliere di non candidarsi a destra, ma a sinistra. Graziano confessa di essersi sentito, anche lui, tradito, gli avevano detto che «qualunque scelta avesse preso sarebbe stata appoggiata, ma questo non è avvenuto».
Ancora una volta, la parola chiave è la stessa: tradimento.
«La televisione è come la vita», dice la Grippo in studio, «aderisce al reale». Ed è vero: il talk show politico diventa la messa in scena dell’esistenza stessa del potere, con le sue confessioni, le sue perfidie, i suoi altarini.
Flavio Stasi, infine, torna a parlare del futuro. «Bisogna partire dai contenuti», dice, riferendosi alle provinciali, «dare spazio a nuovi volti». Antonella chiede di Ranuccio, prima a Stasi, poi l'attenzione si sposta su Falcomatà, il quale risponde: «È un buon sindaco». Antonella ribatte: «Si può investire su Ranuccio?». Falcomatà risponde con profonda e poco edulcorata eloquenza: «Si è già investito su Ranuccio».
Parole che suonano come un epilogo dolceamaro: la speranza del rinnovamento che convive con la consapevolezza del tradimento.
E sono stati sinceri fino in fondo al cospetto di Sua Santità El Diablo, i politici? Antonella ha lasciato che a rispondere fossero due brani della musica italiana: “Bugiardo” di Fabri Fibra, con versi che sono una lama – “Bugiardo, con questa faccia da bugiardo, era tutto uno scherzo, sono un bugiardo” – e poi “In ginocchio da te” di Gianni Morandi. Due inni opposti, tra ironia e confessione, che suggellano l’ambiguità del potere.
In fondo, l’intera puntata è stata una rappresentazione hegeliana della Fenomenologia dello Spirito politico: la coscienza che si scinde e si riconosce solo nel conflitto.
Ma la confessione di Falcomatà, il suo «sono stato tradito», è il momento più umano e politicamente tragico. È l’attimo in cui il potere si scopre vulnerabile, e il politico, spogliato delle sue maschere, torna uomo.