La donna ha 72 anni e non riesce a mangiare in maniera autonoma. Sua figlia costretta a ridurre l’alimentazione dopo l’attesa del nuovo piano terapeutico: «Non siamo ancora venuti a capo della procedura e non so quando potrò avere gli alimenti. È sconfortante»
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«Se non muore per malattia, la faranno morire di fame. Siamo stati costretti a ridurre l’alimentazione perché non avevamo più disponibilità di cibo. Da un mese lotto con la burocrazia per ottenere il rinnovo del piano terapeutico di mia madre, malata terminale e con alimentazione assistita».
Rosalba e il Parkinson
È più che una richiesta di aiuto, quasi uno sfogo quello consegnatoci da Alessandra (nome di fantasia per tutelare la privacy) che da dieci anni assiste la madre affetta da Parkinson, oggi allo stadio terminale della malattia. Rosalba ha 72 anni e non si alimenta più in maniera autonoma ma attraverso la peg, la gastrostomia endoscopica percutanea, ovvero tramite una sonda inserita direttamente nello stomaco.
Il rinnovo del piano terapeutico
Una procedura che richiede però la redazione di un apposito piano terapeutico, scaduto però da diversi giorni mentre Alessandra tentava invano di ottenerne il rinnovo. Un tentativo che va avanti da circa un mese, sballottata da un ufficio ad un altro, fuorviata da informazioni incomplete o del tutto errate di enti che non comunicano tra di loro, fagocitata da una burocrazia tanto farraginosa da averla, infine, costretta a ridurre l’alimentazione alla madre perché non è ancora venuta a capo della procedura amministrativa.
Da un ufficio all’altro
Il primo piano terapeutico era stato redatto dal reparto ospedaliero dove Rosalba era stata ricoverata e poi dimessa a giugno. In vista della prossima scadenza, quindi, Alessandra ha iniziato ad informarsi per capire a quale ufficio rivolgersi. «Nessuno sapeva come rinnovarlo e tra l’altro avevo ricevuto anche pareri discordanti. In un primo tempo mi era stato detto di fare affidamento al geriatra che ha già in cura mia madre in adi. Successivamente mi è stato consigliato di rivolgermi al reparto di gastroenterologia endoscopica, e così ho fatto» racconta Alessandra.
L’attesa infinita al cup
Qui una infermiera «molto gentile» chiede una impegnativa e la prenotazione tramite cup. «Il mio medico curante, quindi, la fa con priorità urgente ma senza poi riuscire ad eseguire la prenotazione al cup» spiega la donna. «La centralinista mi ha detto che non c’era disponibilità e di continuare a chiamare ogni giorno fino alla scadenza dell’impegnativa. Poi mi hanno consigliato di cambiare la priorità da urgente a programmabile ma anche in questo caso non c’era disponibilità. Mi hanno detto che non avevano liste aperte e di continuare a chiamare ogni giorno».
Nella morsa della burocrazia
Dopo diversi tentativi e molti giorni trascorsi al telefono, Alessandra decide quindi di tentare con una diversa procedura. Scrive all’email di un medico casualmente trovata sul piano terapeutico che a questo punto le consiglia di rivolgersi al dietologo dell’Asp. Chiaramente la trafila burocratica non è ancora finita: altre impegnative, file agli uffici e l’attesa di una telefonata per una visita domiciliare a cui poi farà seguito la revisione del piano terapeutico, che a sua volta dovrà essere autorizzato da un altro ufficio e poi ad un altro ancora rivolgersi per avere il cibo da somministrare alla madre.
Dare voce a chi non ha voce
«Racconto questa storia per dare voce a tutte le persone come mia madre che non ne hanno» spiega Alessandra. Dall’esasperazione, per l’esperienza subita, la sua espressione grada in frustrazione e poi in pianto. Tra le lacrime spiega che «se non fosse stato per la mia pazienza e determinazione mia madre sarebbe già morta. Da un mese combatto con informazioni sbagliate e persone che non sanno come aiutarmi e non so ancora quando mi daranno questi alimenti. Siamo stati costretti a ridurle l’alimentazione in attesa di ottenere il rinnovo del piano terapeutico. Ho dovuto fare quattro diverse impegnative e ho perso un mese dietro a procedure del tutto errate, e nessuno che sapesse indirizzarmi correttamente. È sconfortante, questa è la situazione che vivono i malati calabresi ma non credo che sia giusto per chi già soffre a causa della sua malattia».