La riforma dell'assistenza territoriale arranca e per il fascicolo sanitario elettronico nessuna regione risulta operativa al 100%. Il presidente della Fondazione Cartabellotta: «È indispensabile accelerare in maniera sinergica su più fronti, per scongiurare rischi concreti»
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La riforma dell'assistenza territoriale arranca, solo il 2,7% delle Case della comunità è pienamente operativo, per gli ospedali di comunità nessuno ha tutti i servizi attivi e per il fascicolo sanitario elettronico nessuna regione risulta operativa al 100%. Emerge dal monitoraggio indipendente dell'Osservatorio Gimbe sul Servizio sanitario nazionale in merito sull'attuazione della Missione Salute del Pnrr. «Al 31 marzo 2025 - afferma Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe - per la Missione Salute del Pnrr non era prevista alcuna scadenza europea e l'unica scadenza nazionale è stata rispettata. Tuttavia, al di là del rispetto delle scadenze formali, a poco più di un anno dalla rendicontazione finale, la riforma dell'assistenza territoriale e l'attuazione del Fascicolo Sanitario Elettronico procedono decisamente a rilento, con marcate diseguaglianze tra le Regioni».
Per il periodo 2021-2025, rileva Gimbe, risultano raggiunti tutti i target previsti: in particolare, al 31 marzo è stato raggiunto il target «Nuovi pazienti che ricevono assistenza domiciliare (terza parte)», che prevede un ulteriore incremento dei pazienti over 65 da trattare in assistenza domiciliare, al fine di raggiungere la soglia della presa in carico del 10% della popolazione in quella fascia di età.
La riforma dell'assistenza territoriale procede invece a rilento, «con forti diseguaglianze tra le Regioni, in particolare nell'attivazione e nella piena operatività delle Case della Comunità e degli Ospedali di Comunità». Così, al 20 dicembre 2024, su 1.717 Case della comunità (Cdc) previste, per 1.068 (62,2%) le Regioni non hanno dichiarato attivo alcun servizio tra quelli previsti; per 485 strutture (28,2%) è stato dichiarato attivo almeno un servizio e solo per 164 (9,6%) tutti i servizi obbligatori sono stati dichiarati attivi. Di queste ultime, tuttavia, soltanto 46 (2,7% del totale) risultavano pienamente operative, cioè con presenza sia medica che infermieristica. Solo quattro Regioni superano il 50% di Cdc con almeno un servizio dichiarato attivo: Emilia-Romagna (70,6%), Lombardia (66,7%), Veneto (62,6%) e Marche (55,2%), mentre in sei Regioni non risulta attiva alcuna Cdc.
Inoltre, al 20 dicembre 2024, dei 568 ospedali di Comunità previsti (Odc) solo 124 (21,8%) risultano avere almeno un servizio attivo, per un totale di quasi 2.100 posti letto. In termini assoluti, i numeri più alti si registrano in Veneto (n. 43), Lombardia (n. 25) ed Emilia-Romagna (n. 21). Altre dieci Regioni hanno attivato almeno un Odc: dagli 8 della Puglia a un solo Odc in Campania e Sardegna. Otto Regioni restano invece ancora a quota zero. Dati migliori, invece, per le Centrali Operative Territoriali, strutture essenziali per coordinare la presa in carico dei pazienti e integrare l'assistenza sanitaria e sociosanitaria: risultano attivate in tutte le Regioni. Al 31 dicembre 2024, su 650 Cot programmate, 642 risultavano pienamente funzionanti, di cui 480 hanno contribuito al raggiungimento del target europeo.
Rispetto alla fotografia scattata da Agenas cinque mesi fa, commenta Cartabellotta, «è verosimile ipotizzare che il quadro attuale sia più incoraggiante. Tuttavia, l'attuazione di Cdc e Odc procede ancora con una lentezza inaccettabile e a velocità troppo diverse tra le Regioni. E a poco più di un anno dalla scadenza finale del giugno 2026, alcune sono ancora inchiodate al punto di partenza». Molte ombre anche sul Fascicolo Sanitario Elettronico 2.0: nessuna Regione rende disponibili tutte le 16 tipologie di documenti previste. Il grado di completezza varia tra le Regioni: si va dal 94% di Lazio, Piemonte e Sardegna al 63% di Marche e Puglia.
Al 30 novembre 2024, inoltre, «solo il 42% dei cittadini ha espresso il consenso alla consultazione del Fse da parte di medici e operatori del Ssn, dall'1% in Abruzzo, Calabria, Campania e Molise all'89% in Emilia-Romagna. Tra le Regioni del Mezzogiorno, solo la Puglia supera la media nazionale (42%) con un tasso di adesione del 71%». «La scarsa adesione da parte dei cittadini - conclude Cartabellotta - e soprattutto nelle Regioni del Mezzogiorno, è un segnale preoccupante di sfiducia nella sicurezza dei dati personali e nella reale utilità del Fse».
Cartabellotta: «Rischio di portare i soldi a casa senza produrre benefici reali»
Il rischio è di «portare i soldi a casa, senza produrre benefici reali per cittadini e pazienti, lasciando in eredità a fronte di un indebitamento scaricato sulle generazioni future». «A poco più di un anno dalla rendicontazione finale della Missione Salute del Pnrr - rileva Cartabellotta - l'avanzamento di Case e Ospedali di Comunità procede ancora troppo lentamente e con velocità profondamente diverse tra le Regioni. Ma il problema principale è che, oltre ai ritardi infrastrutturali, il “pieno funzionamento” delle strutture, requisito indispensabile per la rendicontazione finale, è pesantemente ostacolato dalla carenza di personale sanitario, in particolare infermieristico, una vera emergenza nazionale. Nel caso delle Case della Comunità pesa poi anche l'assenza di un reale coinvolgimento dei medici di famiglia, perno insostituibile dell'assistenza territoriale».
«È dunque indispensabile - avverte - accelerare in maniera sinergica su più fronti, per scongiurare rischi concreti. Il primo, da evitare ad ogni costo, è quello di non raggiungere i target europei e dover restituire il contributo a fondo perduto. Il secondo è di raggiungere il target nazionale, senza però ridurre le diseguaglianze regionali e territoriali, che rischiano anzi di ampliarsi». Ma «il terzo, il più grave - conclude - è portare i soldi a casa, senza produrre benefici reali».