Incubo percolato

Il disastro di Scala Coeli viene da lontano: la storia (e le falle) dell’ampliamento del 600% della discarica

Alle spalle del sequestro dell'impianto che perde liquidi altamente inquinanti ci sono 13 anni di folle burocrazia: demanio incerto, concessioni negate, ricorsi al Tar e controversie che ora tornano a galla. Le accuse di Legambiente. Ecco cosa è successo

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di Mariassunta Veneziano
29 giugno 2023
06:30
Il fiume Nicà dopo lo sversamento di percolato
Il fiume Nicà dopo lo sversamento di percolato

Una storia lunga 13 anni. Fatta di autorizzazioni, attese, proteste, denunce e sospetti. Di paura, anche. Oggi più di ieri. La gente non chiede altro: risposte, rassicurazioni laddove possibile, sapere che non ci sono rischi per la salute. Qualunque risposta dovesse arrivare dagli accertamenti in corso, c’è un dato di fatto incontrovertibile: qualcosa è successo, qualcosa si è rotto, e il percolato che mai sarebbe dovuto fuoriuscire dalla discarica è finito nei corsi d’acqua. E forse in mare, o forse no, si spera. Ma c’è un impianto sotto sequestro, a Scala Coeli, località Pipino, al confine tra le province di Cosenza e Crotone.

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Un impianto che oggi torna sotto i riflettori, anche se per qualcuno quei riflettori non si sono mai spenti. Questa storia lunga 13 anni qualcuno la conosce bene. Il presidente del circolo Legambiente Nicà, Nicola Abruzzese, la definisce «drammatica». Non molla la presa e con più forza, dopo quanto è successo, torna a chiedere la chiusura definitiva della discarica. Non solo. «È in fase di preparazione – annuncia – la denuncia querela che verrà depositata nei prossimi giorni presso la Procura della Repubblica di Castrovillari».


Il decreto autorizzativo del 2010

Inizia, questa storia, con il decreto 4180 del 29 marzo 2010: “Giudizio di compatibilità ambientale (D.Lgs. 152/2006) ed Autorizzazione integrata ambientale (D.Lgs. 59/2005 e s.m.i.) per un impianto di discarica sito in località Pipino del Comune di Scala Coeli (Cs). Proponente e gestore: Bieco S.r.l.”. Capacità di abbanco 93mila metri cubi. I “ma” sorgono subito. Nell’Aia allegata al decreto si legge: «In relazione ad eventuali aree demaniali interessate dall’intervento, preliminarmente alla realizzazione degli interventi previsti nel progetto, vengano attivate tutte le procedure previste dalle vigenti normative per l’acquisizione delle stesse aree o per le necessarie concessioni». E proprio verso le aree demaniali oggi punta l’indice il presidente del circolo Nicà.

La discarica entra in esercizio dopo la verifica della conformità e del rispetto delle condizioni dell’Autorizzazione integrata ambientale da parte dell’Arpacal, avvenuta nel febbraio 2015.

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Il nodo delle aste demaniali

«In realtà – ricorda Abruzzese –, le aste demaniali occupate non sono state ancora sdemanializzate».

Di mezzo c’è questo: una richiesta di «Via e Aia per un progetto di modifica sostanziale della discarica» presentata dalla Bieco alla Regione nel dicembre 2016, l’autorizzazione che arriva con il decreto 14284 del 20 novembre 2019 (22 pagine di decreto più gli allegati), un ricorso al Tar dell’Agenzia del demanio nel 2020 e l’avvio del riesame del decreto autorizzativo con un nuovo decreto, il numero 1162 dell’8 febbraio 2021.

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Diverse conferenze dei servizi, due commissari ad acta che si avvicendano – Antonio Infantino prima e Giuseppe Bruno poi –, svariate osservazioni e anche qualche parere negativo al richiesto ampliamento. Tra gli altri, l’8 giugno 2018 arriva quello della Struttura tecnica di valutazione (Stv). E in occasione della seconda conferenza dei servizi del 18 dicembre 2018, il commissario ad acta fissa al 4 gennaio 2019 il termine per la presentazione di un progetto rimodulato che consenta di superare le criticità espresse dalla Stv.

Un ampliamento del 598,925%

Il 24 gennaio 2019 la terza conferenza dei servizi, in cui la Stv dà parere positivo con 20 prescrizioni. «Restava comunque il parere contrario del sindaco di Scala Coeli deliberato all’unanimità dall’intero consiglio comunale, oltre la conferma per il rigetto della richiesta di sdemanializzazione delle aste demaniali da parte dell’Agenzia del demanio ed il parere negativo del dipartimento Urbanistica regionale in quanto la lettera d del comma 3 dell’art. 51 della legge urbanistica regionale n. 19 del 2002 e s.m.i. ne vieta la realizzazione», afferma Abruzzese.

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Nel frattempo Bruno subentra a Infantino. Dopo diversi rinvii, l’ultima conferenza dei servizi si tiene il 10 giugno 2019. Si arriva così al decreto 14284 del 20 novembre 2019 con cui il commissario autorizza l’ampliamento della discarica scrivendo che «si ritiene non concluso positivamente il procedimento di sdemanializzazione delle aree demaniali site nell’area di intervento, e acquisito in senso negativo il provvedimento degli uffici dell’Agenzia del demanio» ma che questo «non impedisce che la realizzazione dei lavori possa essere effettuata in forza di provvedimento concessorio» e pertanto «si rilascia, nell’ambito dell’Aia, concessione all’utilizzo delle aree demaniali comprese nell’area di progetto».

La discarica passa così da una capacità di abbanco di 93mila metri cubi a 650mila metri cubi: un aumento del 598,925%.

Occupazione abusiva?

«A mio parere – evidenzia Abruzzese –, stante il rigetto alla sdemanializzazione delle aste demaniali da parte del demanio, la mancata disponibilità dell’area è dirimente all’approvazione del progetto e di conseguenza il commissario Bruno avrebbe dovuto chiudere negativamente la conferenza dei servizi».

Bruno, aggiunge il rappresentante di Legambiente, «ha concesso alla ditta Bieco l'uso delle aste demaniali rinnegando il rigetto di sdemanializzazione espresso dagli uffici preposti e senza tenere conto che il gestore del demanio regionale aveva chiarito che le aste non potevano essere concesse. Inoltre con il rilascio del decreto di autorizzazione è stata avallata l'occupazione abusiva delle aste demaniali della discarica esistente».

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Ma secondo quanto scrive il commissario Bruno nel decreto «alla luce della relazione tecnica prodotta dal proponente, le aree individuate catastalmente come demaniali non sembrano mantenere, a tutt’oggi, i requisiti morfologici e funzionali di demanialità pubblica» e «anche ove sussistessero tali requisiti, il procedimento di sdemanializzazione, viste le comunicazioni dell'Agenzia del demanio, potrà essere avviato dopo che le aree di fatto hanno perso i requisiti morfologici e funzionali di demanialità pubblica, secondo l'assunto che la procedura di sdemanializzazione non è un atto amministrativo dovuto, ma un'attività che è promossa una volta accertata la perdita dei requisiti morfologici e funzionali della demanialità pubblica attraverso il parere vincolante della Regione, e secondo l'assunto che la procedura esula dal procedimento autorizzativo».

Il ricorso al Tar dell’Agenzia del demanio

Per tutta risposta, nel 2020 l’Agenzia del demanio presenta ricorso al Tar per chiedere l’annullamento previa sospensione dell’efficacia del decreto di autorizzazione 14284/2019. Da parte sua il Tar, nella sentenza 1547 del 29 luglio 2021, scrive: «La Regione ha ritenuto dare alla società concessione in uso delle aree demaniali per procedere agli interventi sulle aste demaniali preannunciando all’esito la sussistenza dei presupposti di sdemanializzazione e a tale contraddittoria determinazione a danno dell’attuale assetto del demanio ha reagito con il ricorso l’Agenzia del demanio».

Aggiungendo: «Le Regioni – pur competenti al rilascio delle concessioni – non hanno potere di incidere sui procedimenti che attengono alla consistenza del demanio medesimo, compresi i procedimenti di sdemanializzazione». E ancora: «Essendo la concessione stata rilasciata per consentire lavori che avrebbero avuto l’effetto di far venir meno i requisiti della demanialità è evidente che la Regione ha ecceduto nell’esercizio delle sue funzioni: con tale concessione non ha, evidentemente, provveduto alla mera gestione del demanio fluviale, bensì ne ha autorizzato il venir meno, in disparte dalla valutazione – esulante anche dalla competenza della Regione come anche di questo giudice – del sussistere o meno all’epoca dei presupposti della demanialità».

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Il risultato finale è però la dichiarazione di «improcedibilità del ricorso» e la motivazione è da ricercarsi in queste righe: «Impregiudicate le questioni proprietarie delle aree demaniali, deve evidenziarsi che l’Agenzia con l’atto di diniego della sdemanializzazione del 2021 ha dato atto non solo (…) dell’ormai sostituita funzione delle aree demaniali con i fossi di guardia realizzati e, dunque, dell’intervenuta irreversibile trasformazione delle aree, ma ha aggiunto che la valutazione per la sdemanializzazione sarà effettuabile solo una volta realizzate tutte le opere di progetto. Tale enunciazione, nel difetto di richiesta di remissione in pristino, determina effettivamente la sopravvenuta carenza di interesse rispetto alla avversione dell’approvazione del progetto/concessione in uso delle aree per evitare tale trasformazione». In parole povere, per il Tar lo stop al progetto non ha più senso essendo le aree già state modificate pur in assenza del sì dell’Agenzia del demanio.  

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