Nel 2009 il Consiglio regionale approvò una legge voluta dalla Giunta di centrosinistra costruita sull’esperienza del paesino della Locride: un testo poi cancellato. Ma i dati ci dicono che stiamo andando nella direzione sbagliata
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Sono onorato di poter esporre in una sede così prestigiosa anche il mio punto di vista, dopo avere ascoltato tanti interventi di qualità, su argomenti tra loro saldamente collegati come lo spopolamento e la denatalità. Essi costituiranno in un futuro assai prossimo, insieme alla crisi climatica, i temi più importanti della nostra vita. Sono problemi diffusi in Occidente e in particolare in Italia, specie in quella meridionale ma che in un domani assai prossimo diventeranno acuti nell’Europa tutta.
Un antropologo calabrese di valore, il professore Vito Teti, in un recente saggio è pervenuto sul tema a previsioni assai pessimistiche. Nel giro di cinque anni – cito a memoria (ha scritto cinque anni non venti o trenta) mille comuni del Mezzogiorno non esisteranno più. Saranno cancellati dal territorio. Dove c’erano sentimenti, affetti, case, relazioni ci sarà il deserto. Non credo possa sfuggirvi la dimensione apocalittica di tale mutamento. Sotto tale aspetto l’apertura all’accoglienza da anni praticata con non comune generosità da Mimmo Lucano, sindaco di Riace, ha avuto il dono della lungimiranza, finendo per fare scuola in Calabria. In questa nostra terra così difficile altri sindaci praticano infatti l’accoglienza nei confronti dei migranti. D’altra parte lo spirito di quella legge che nel lontano 2009 approvata su proposta della giunta che all’epoca presiedevo e che il Consiglio regionale calabrese approvò all’unanimità – evento mai avvenuto prima – affondava le sue radici in una memoria comune.
L’accoglienza dell’ospite che bussa inatteso alla porta di casa rappresenta in Calabria una tradizione millenaria. Il verbo che nei secoli passati, come ricordava tempo fa Ilario Amendolia, che in questi casi i calabresi solitamente pronunciavano era “trasiti, trasiti”. Tradotto in italiano significa “entrate, entrate”. Quello dell’accoglienza è un codice che Lucano e moltissimi calabresi hanno ereditato dal mondo greco, dalla letteratura greca. Quando nell’Odissea Ulisse sbarca naufrago nella terra dei Feaci, alle ancelle che si spaventano di fronte a quell’essere discinto, Nausica rivolge parole rassicuranti: "Ma quest’uomo è giunto qui naufrago, errante, dobbiamo prendercene cura perché forestieri e mendichi li manda Giove”. Non un dio qualsiasi, Giove.
Si tratta di regole che successivamente il cristianesimo ha fissato in un precetto: “Ero forestiero e m’avete accolto” recita il Vangelo di Matteo. La nostra legge regionale, costruita con la partecipazione esterna di Lucano, aveva il vantaggio della reciprocità. I rifugiati trovavano un posto sicuro dove essere accolti e il borgo si ripopolava e la loro presenza avrebbe creato una nuova piccola economia, un circolo virtuoso per tutti. Il meccanismo della legge era stato costruito su quello che Lucano spontaneamente aveva costruito in un paesino della Calabria. La nostra legge non faceva altro che metterlo a sistema applicandolo ad altri borghi. Insomma il modello Riace diventava contagioso. È un vero peccato che quel testo, dopo la sconfitta politica del centrosinistra sia stata nei fatti cancellato.
Spero che di questo doppio problema, spopolamento e natalità, connesso con il problema dell’accoglienza, l’Europa sappia occuparsi con uno spirito del tutto diverso da quello utilizzato fino ad oggi e che il professore Luigi Ferrajoli ha stigmatizzato con efficacia. Si pensi a quello che matematicamente avverrà fra venti anni, quando la popolazione del Continente africano sarà cinque volte più numerosa di quella europea. I disperati che saranno indotti ad emigrare verso le nostre coste potrebbero essere in numero inimmaginabile. Privi di un efficace piano europeo dove andrà questa umanità disperata?
Il nostro mondo che in tutti questi anni abbiamo conosciuto, amato, dei cui vantaggi abbiamo fruito, sarà travolto. Ineluttabilmente. Mi riferisco al mondo residuo. Considerate che 2023 in Italia le nascite sono state 379.890 mila. Il punto più basso di un calo che dura da oltre 30 anni, mentre i decessi,sempre nel 2023, sono stati 660.600. Il conto è presto fatto. Noi apparteniamo ad una parte del mondo, il cosiddetto Occidente, a cui, pur in presenza di differenze sociali spesso notevoli, non manca nulla. Abbiamo il cibo, l’acqua, l’assistenza. Mi fermo qui, ma potrei allungare questo elenco a dismisura. Esistono invece poco meno di 8 miliardi di persone che mancano di tutto. O, meglio, di quasi tutto. Un tale equilibrio non può durare a lungo.
Con le immagini dell’Occidente che ormai girano da tempo per il pianeta attraverso i circuiti televisivi, gli emarginati del mondo sono costretti a fare un raffronto impietoso. Sono questi gli stimoli naturali che spingono una parte di migranti a sfidare il deserto per consegnarsi alla Libia. Spesso non dispongono delle risorse economiche pretese dai torturatori di questo paese per “acquistare” un posto su di una barca sgangherata che faccia rotta verso Lampedusa. Non possedendo tali risorse per tutta la famiglia, fanno una scelta dolorosa. Spendono la modesta cifra di cui dispongono a favore del proprio figlio, magari di 5-6 anni. Il quale monta da solo su di una barca che ha buone possibilità di fare naufragio. Sono quei bimbi che, arrivando da soli a Lampedusa, i nostri media definiscono talvolta con gelido distacco “bambini non accompagnati”.
Mi fermo qui. Le ultime parole le dedico a un episodio di quegli anni in cui il protagonista è Lucano. Il primo si riferisce ad un evento avvenuto a Roma a Villa Borghese dove tantissimi calabresi accettarono l’invito di Wim Wenders, di Lucano e del sottoscritto a vedere il cortometraggio “Il Volo”, che come regione avevamo coprodotto: fu una marea di persone di qualità che aveva frequentato in anni lontani l’università nella capitale (e qui affermatasi) era rimasta a lavorare. Un indimenticabile tripudio di Calabria. Arrivarono poco meno di mille persone ad assistere a “Il Volo”. Finisco con un giudizio su Lucano. Come presidente di Regione ho spesso usato la sua figura come antidoto in quegli anni disseminati spesso di brutte storie sulla stampa. Più che condannarlo un personaggio così andrebbe tutelato, tenuto nell’ovatta, come fanno certi scienziati con una specie rara e indispensabile.

