L’attentato contro Sigfrido Ranucci, conduttore di Report, è un pugno nello stomaco per la libertà di stampa. Due bombe contro un giornalista che fa solo il suo mestiere: raccontare i fatti senza paura. Fare inchiesta. Cercare le prove della corruzione, del malaffare.

Quello contro Ranucci è un gesto che riporta il paese indietro di oltre 30 anni, ai tempi delle minacce mafiose contro Maurizio Costanzo.

Ma oggi la violenza non proviene soltanto da oscuri ambienti criminali: nasce da un clima di ostilità crescente contro la stampa, che arriva dall’alto, da chi governa ai vari livelli, dai rappresentanti delle istituzioni.

La libertà di informazione in Italia è in pericolo, nonostante sia tutelata dalla Costituzione. Non si spara più ai giornalisti (ma ora siamo passati direttamente alle bombe), ma li si colpisce con altre armi: ad esempio con le querele temerarie, con l’isolamento, con l’arroganza del potere che rifiuta di rispondere alle domande. Come se informare fosse diventato un pericolo.

La conferma viene dai numeri: nei primi sei mesi del 2025 si sono registrati 81 episodi di intimidazione contro giornalisti, con un aumento del 76% rispetto allo stesso periodo del 2024. Complessivamente, nel 2024, l’Osservatorio “Ossigeno per l’informazione” ha conteggiato 516 casi di minacce o atti intimidatori. Dati che disegnano un Paese sempre più ostile verso la libera informazione.

Il rifiuto del potere, sia a livello nazionale sia locale, di incontrare i giornalisti nelle conferenze stampa è un segnale devastante. Chi governa che evita di rispondere o spiegare le proprie scelte offende i cittadini, privandoli del diritto di sapere per poter poi decidere. E se possibile, c’è di peggio: quando il potere non tace, attacca. Durante campagne elettorali e dai programmi televisivi, esponenti di primo piano della politica hanno provato a ridicolizzare i giornalisti, additandoli come “nemici”.

Ma si va oltre: quando il potere vuole occultare le proprie azioni, compra i giornalisti, se non direttamente gli editori, premiandoli con incarichi e nomine, addomesticandoli. È una censura morbida, silenziosa, ma mortale: uccide la libertà di stampa lentamente, giorno dopo giorno. Nell’indifferenza generale.

La conferma si trova nelle classifiche internazionali: l’Italia scivola sempre più in basso e oggi è tra le ultime nazioni in Europa per libertà di informazione. Ogni anno decine di cronisti vengono querelati solo per aver fatto domande scomode. Molti rinunciano, altri resistono da soli, senza tutele né supporti.

Questo è ormai un Paese che teme l’informazione, che ha paura della verità. E quando la verità fa paura, la democrazia è già in pericolo.