Aule con più di 30 ragazzi, riduzione di organico e abbandono progressivo del tempo scuola sono ormai realtà negli istituti italiani. Da qui la proposta Verdi-Sinistra che punta a riportare fondi dal privato al pubblico, garantire contesti più umani e rispettosi dei tempi di apprendimento e valorizzare il lavoro degli insegnanti
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Il dibattito sulle cosiddette classi pollaio torna al centro della scena politica, ma la destra al governo continua a minimizzare. Mentre Alleanza Verdi e Sinistra propone con una legge di iniziativa popolare un tetto massimo di 20 studenti per classe – scendendo a 18 o 15 in presenza di alunni con disabilità – dall’altra parte si grida al “falso problema”. Eppure la realtà delle aule italiane smentisce clamorosamente il centrodestra: classi di 30 o più alunni, studenti con bisogni educativi speciali ammassati in contesti ingestibili, docenti costretti a correre contro il tempo per interrogare, spiegare, seguire chi resta indietro. Chiunque abbia messo piede in un’aula sa bene che, con 30 ragazzi, la didattica diventa pura sopravvivenza.
Non è vero che il sovraffollamento sia una novità: già con i tagli del 2008, firmati Berlusconi-Gelmini, l’organico fu ridotto di 130mila unità, cancellando i moduli nella primaria e avviando la stagione delle fusioni forzate tra classi. È così che nascevano le “sezioni mostro”: una quarta liceo di 34 studenti, ottenuta accorpando una classe da 22 e una da 12, è un esempio concreto che molti docenti ricordano. Allora non si gridava allo scandalo: oggi, però, chi governa finge di non vedere.
La verità è che questa destra non vuole investire sulla scuola pubblica. La riduzione prevista di 5.660 docenti per il 2025/26 e di altri 2.147 collaboratori scolastici dal 2026 lo dimostra: meno personale, meno qualità, più classi accorpate. Tutto questo in nome di un calo demografico usato come alibi, quando invece potrebbe essere l’occasione per migliorare la qualità dell’insegnamento, abbassando il numero di studenti per aula.
La proposta Verdi-Sinistra non è un vezzo ideologico, ma una misura di buon senso: riportare fondi dalle scuole private a quelle pubbliche, garantire contesti più umani e rispettosi dei tempi di apprendimento, valorizzare il lavoro degli insegnanti. E invece il governo Meloni-Valditara continua a trattare la scuola come un terreno di scontro ideologico: tra divieti, ossessione punitiva e slogan securitari, si dimentica che l’istruzione è un diritto costituzionale e un investimento per il futuro del Paese. Dove altri avrebbero risolto sicuramente, la destra, facendo fare il lavoro sporco che genera malcontento alla Lega che gestisce l’Istruzione e rimane all’otto per cento dei consensi, sceglie la via del taglio silenzioso: riduzione di organico, accorpamenti, abbandono progressivo del tempo scuola. È una politica miope, che umilia gli insegnanti - accusati di essere “di sinistra” per il solo fatto di fare il loro mestiere - e danneggia studenti e famiglie.
La cultura e la giustizia fanno paura a questo governo: non a caso i docenti, quelli meritevoli, con corso di formazione selettivi vengono assunti con il contagocce; i docenti preparati e non figli di scorciatoie varie fanno paura come fanno paura i magistrati e diventano bersagli di una propaganda che li dipinge come privilegiati da controllare e non come professionisti da valorizzare. Ma senza cultura e senza giustizia, un Paese non cresce: arretra. La scuola italiana merita ben altro che la logica dei tagli e delle classi pollaio. Merita un progetto serio, che parta dal limite massimo di 20 alunni per classe e restituisca dignità all’insegnamento e al futuro dei nostri ragazzi.
*consulente ed esperto di dinamiche scolastiche