L’allarme lanciato con forza dal nostro Network con decine di inchieste, è rimasto inascoltato. Dove sono i partiti? Siamo nel pieno di un amaro inverno demografico. E l’Italia è sull’orlo di una crisi sistemica che rischia di minare le fondamenta stesse della sua società. E mentre i numeri parlano chiaro, la politica sembra solo ora aprire gli occhi. Per la prima volta, sebbene con grave ritardo, dal governo arrivano parole allarmate. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, intervenendo su dati recentemente diffusi da Istat e MEF, ha dichiarato che «la contrazione demografica è un’emergenza nazionale», aggiungendo che «il Sud Italia perderà oltre 3 milioni di abitanti nel breve periodo». Un’ammissione tardiva, ma necessaria, di fronte a un fenomeno che non è più tendenza, ma vera e propria catastrofe annunciata. Nel 2023 in Italia sono nati solo 379.000 bambini, segnando il minimo storico. Nel 2008, erano ancora 576.659. In appena 15 anni abbiamo perso quasi 200.000 nascite annue. Il tasso di fecondità è sceso a 1,20 figli per donna, ben al di sotto della soglia di sostituzione (2,1) e tra i più bassi in Europa, peggio solo di Corea del Sud e Giappone. Il quadro è aggravato da un’età media delle madri al primo figlio che ha superato i 32 anni.

Il Sud che scompare

L’allarme di Giorgetti si fonda su proiezioni reali e drammatiche. Secondo l’Istat, entro il 2050 il Mezzogiorno potrebbe perdere tra i 3 e i 4 milioni di abitanti. In alcune province calabresi (ma anche di altre regioni meridionali) si sta già assistendo a una desertificazione umana: si chiudono ospedali, scuole, uffici postali, linee ferroviarie. L’intera dorsale appenninica del Sud si avvia a diventare un gigantesco cratere demografico. La Calabria, in particolare, ha registrato il saldo naturale più basso d’Italia nel 2023, con oltre 11.000 decessi in più delle nascite. A questo si aggiunge un’emigrazione giovanile che continua senza sosta: oltre 800.000 giovani del Sud hanno lasciato le loro regioni negli ultimi vent’anni, spesso per non tornare più.

Giovani in fuga, Nord incluso

La crisi non riguarda più solo il Mezzogiorno. Anche il Nord Italia, storicamente attrattivo, inizia a perdere giovani. Secondo uno studio della Fondazione Nord Est, oltre 30.000 laureati del Settentrione sono emigrati all’estero negli ultimi cinque anni. La stessa Milano, da tempo hub di innovazione, inizia a mostrare segnali di rallentamento nella capacità di trattenere capitale umano. Nel Centro-Nord, il calo è meno accentuato che al Sud, con la Liguria (-1,6% nel 2024) e il Piemonte (-1,8%) tra le regioni più colpite. Al contrario, l’Emilia-Romagna (-0,2%) e il Veneto (-0,7%) mostrano variazioni contenute. Il problema è nazionale: l’Italia ha perso oltre 1 milione di persone sotto i 35 anni dal 2013 al 2023, una dinamica che nessun altro paese europeo registra con tale intensità.

Pensioni, lavoro, welfare: cosa crolla con la natalità

La crisi demografica è il detonatore di una bomba sociale a più livelli. Meno nati oggi significa meno lavoratori domani, più squilibrio nel rapporto attivi/pensionati (attualmente già a 1,4:1), più pressione fiscale sul lavoro, più difficoltà a mantenere un welfare universale. L’INPS stima che entro il 2040 saranno necessari almeno 35 miliardi di euro aggiuntivi all’anno per sostenere il sistema pensionistico, senza correttivi. Contemporaneamente, oltre il 25% delle imprese lamenta difficoltà a reperire personale qualificato, in settori che vanno dall’edilizia alla sanità, dall’agroalimentare alla meccanica. E mentre mancano lavoratori, oltre 2 milioni di giovani italiani tra i 15 e i 34 anni non studiano, non lavorano e non sono impegnati in un percorso di formazione (i cosiddetti NEET), con una delle percentuali più alte d’Europa.

L’allarme inascoltato delle inchieste 

A denunciare con continuità e rigore questa realtà è stato negli ultimi anni il network LaC News24, con decine di inchieste sullo spopolamento, sull’abbandono dei borghi calabresi, sulla fuga delle competenze e sull’inerzia istituzionale. Eppure, troppo spesso le voci che provengono dai territori rimangono confinate nel circuito regionale. Il Paese centrale – Roma, i ministeri, il Parlamento – sembra aver preso coscienza solo ora di un trend che era chiaro da tempo.

Servono politiche strutturali, non bonus episodici

Il tempo dei bonus-tampone è finito. Servono politiche familiari strutturali e coerenti: asili nido gratuiti e diffusi, congedi paritari, lavoro stabile e ben retribuito per i giovani, detassazione del secondo figlio, incentivi all’insediamento nei territori interni. Francia e Germania investono oltre il 2,5% del PIL in politiche per la famiglia e la natalità. L’Italia è ferma all’1,2%, tra gli ultimi in Europa. Serve anche – e subito – una legge nazionale per il riequilibrio demografico del Mezzogiorno, accompagnata da un piano speciale per i borghi a rischio scomparsa. Serve uno Stato presente, che garantisca servizi pubblici essenziali dove oggi non ci sono più.

Una nazione che invecchia si spegne

La denatalità è un tema che non fa rumore, non infiamma talk-show, non porta voti nell’immediato. Ma è il problema dei problemi. Senza figli, senza giovani, senza comunità vive, l’Italia diventa un guscio vuoto. Politica e istituzioni tacciono. Il consiglio regionale dovrebbe fare una battaglia, ma questo tema evidentemente non paga. Un’istituzione seria dovrebbe mettere in piedi un patto politico e sociale di lungo periodo, che affronti la crisi con serietà e continuità. Perché il futuro, se non lo si costruisce, si perde.