Il caldo torrido raggiunge livelli mai visti e Cosenza batte ogni record. La tropicalizzazione del Mediterraneo cambia il modo di vivere, la desertificazione avanza nel Sud e sulle montagne. Ma i governi non spendono nulla per l’adattamento climatico
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Sì, l’Italia brucia, in un crescendo da fare paura. Toccare i 40º - 42º a giugno è davvero da paura. E Cosenza conquista un record impressionante per essere la prima città in Italia per aumento di giorni di caldo intenso. In questi giorni il Paese è avvolto da un clima che non conosce precedenti. Le temperature in decine di città oscillano stabilmente tra i 38 e i 42 gradi. Ma non sono più un’eccezione, ma il frutto di una trasformazione lenta, inesorabile, e spaventosa. Vivremo tutti come in Africa? La domanda non è più provocatoria. È realistica.
Il nostro Mediterraneo si sta tropicalizzando, anzi si sta “africanizzando”. Addio alle stagioni intermedie, l’estate arriva d’improvviso bruciando tutto. Un fuoco che si protrae per mesi, e di fatto ridisegna il modo in cui viviamo, lavoriamo, ci spostiamo, mangiamo. È cambiato il ritmo della vita: le città si svuotano nelle ore centrali del giorno, le attività rallentano, la vita sociale si ritira nell’ombra.
Nel Sud, la siccità ha superato la soglia dell’allarme. La desertificazione, che fino a ieri sembrava un rischio remoto, è oggi una realtà concreta. In Puglia, Calabria, Basilicata, Sicilia e Sardegna i dati parlano chiaro: la terra muore. Intere aree non sono più coltivabili. I fiumi si ritirano, i laghi si assottigliano, i pascoli spariscono. L’Appennino, un tempo cuore verde d’Italia, è sempre più brullo e inospitale. E le montagne — persino le Alpi — vedono la neve ridursi, scomparire, lasciare spazio a un paesaggio lunare, arido, instabile. Mentre le montagne calabresi sono sempre più aride: dal Pollino alla Sila e fino all’Aspromonte la montagna sembra ritirarsi, mentre il termometro tocca addirittura i 35º sulle cime più alte!
L’Italia centrale, il Lazio, l’Umbria, la Toscana, iniziano a presentare tratti di paesaggio che ricordano le zone interne del Maghreb. Le estati lunghissime e caldissime, le piogge brevi e violente, i nubifragi e le terribili grandinate, sono diventate la normalità. I parchi naturali si trasformano in foreste silenti e assetate, e i cinghiali e i lupi scendono a valle in cerca d’acqua.
Ma il clima non sta cambiando soltanto la geografia: sta riscrivendo il nostro modo di vivere. Lavorare in estate diventa un atto di resistenza. Chi lavora all’aperto, nei campi, nei cantieri, nelle consegne, è sottoposto a condizioni al limite della sopravvivenza. Gli ospedali iniziano a segnalare un aumento preoccupante di colpi di calore, disidratazioni, scompensi cardiovascolari. Dormire è diventato difficile. Le notti tropicali, ben oltre i 23 gradi, sono ormai la norma in tutte le città italiane. E dormire male, per giorni e settimane, è un pericolo per la salute mentale, per la memoria, per l’equilibrio emotivo.
È in atto un mutamento epocale del nostro modello sociale. I centri delle città sono diventati forni. Gli impianti di condizionamento, sempre più diffusi, consumano energia, amplificano il riscaldamento urbano e, a lungo termine, aggravano il problema che cercano di attenuare. Gli anziani e i bambini sono i primi a pagare il prezzo. Ma nessuno è immune.
Di fronte a questo scenario, la politica è muta. E ci sono anche i negazionisti. I governi continuano a spendere miliardi in bonus edilizi e opere straordinarie, mentre manca una strategia nazionale di adattamento climatico. Le città soffocano ma non sanno cosa fare. Le campagne muoiono nell’indifferenza generale.
E intanto, l’Italia si trasforma, sotto i nostri occhi, in qualcosa che non era. Un Paese sempre più mediorientale. Sempre meno dolce e sempre più estremo.
Il futuro è già iniziato e ha il colore della terra bruciata. E il calore di un deserto infuocato.