Il boom edilizio che ha trasformato la Calabria negli anni ’80 non fu frutto di una strategia di sviluppo, ma della spontanea scelta di migliaia di emigrati che, con il frutto del loro lavoro all’estero, decisero di investire nelle case. Palazzi e villette sorsero ovunque: sulle coste, nelle pianure, in collina e persino in alta montagna. Molte di queste costruzioni furono abusive, tollerate dai sindaci e da amministratori locali, ma anche da altri organi di controllo dello Stato, che preferirono chiudere un occhio mentre il territorio veniva saccheggiato. Le coste distrutte. La montagna aggredita.

Le rimesse degli emigrati, invece di essere indirizzate verso attività produttive, turismo, agricoltura o trasformazione, finirono quasi esclusivamente nel mattone. Ne derivò un eccesso di edilizia residenziale senza una reale domanda: centri storici ignorati e nuove aree urbanizzate senza servizi, economia o prospettive.

Negli anni 2000 arrivò la crisi dell’edilizia: le nuove generazioni di emigrati non tornarono più nei paesi d’origine, lasciando migliaia di abitazioni vuote. Oggi, in Calabria, esistono comuni con vani disponibili pari al doppio dei residenti. Case che hanno perso gran parte del loro valore commerciale, diventando un patrimonio immobiliare morto, difficile da vendere e impossibile da utilizzare in modo produttivo.

Secondo una nostra recente inchiesta, in tutta la regione si contano 579mila abitazioni vuote o abbandonate. A Cosenza sono censiti circa 22 974 ruderi, a Reggio Calabria tra 14 000 e 16 000 edifici in rovina. Le coste portano ancora i segni di un’urbanizzazione selvaggia, mentre in alta montagna restano scheletri di palazzi mai completati.

A questo si somma il crollo degli investimenti nelle costruzioni: secondo Ance Calabria, il valore dei lavori è passato da 1,2 miliardi di euro nel 2023 a 533 milioni nel 2024, con un calo reale del 5,5%. La fine del Superbonus e della cessione del credito ha dato il colpo di grazia a un settore già in crisi.

La verità è che nessuno, né allora né oggi, ha saputo guidare le scelte di investimento dei calabresi. Il risultato è un territorio pieno di cemento ma povero di sviluppo: turismo, agricoltura e industria della trasformazione sono rimasti ai margini, mentre interi paesi si svuotano e il valore del patrimonio immobiliare evapora.